“Nel contesto europeo, il mercato italiano dei fondi comuni spicca per almeno due caratteristiche importanti: la forte prevalenza degli investitori retail da una parte e, dall’altra, la notevole apertura alla competizione di prodotto, in particolare di quello con targa estera”. Così Alessandro Rota, direttore dell’ufficio studi di Assogestioni, introduce l’aggiornamento della Mappa della distribuzione retail dei fondi comuni (QdR 3/2018).

“Per quanto riguarda il primo aspetto – prosegue Rota – i dati più recenti fissano poco sopra l’80% l’incidenza dei clienti persone fisiche sul totale. Per il 54% si tratta di famiglie che investono direttamente; a queste se ne affiancano altre che optano per forme di investimento indiretto mediante servizi di gestione individuale e polizze unit-linked (rispettivamente 12% e 16%). Per quanto attiene alla seconda caratteristica, i numeri raccontano di un mercato che in poco meno di due decenni ha visto il business delle case di gestione che fanno capo a gruppi esteri passare da valori trascurabili a più del 40% del patrimonio complessivo. Ciò ha fatto del nostro paese uno dei luoghi di maggior interesse per le fund house internazionali interessate a espandere la propria attività”.

L’iniziativa dell’Ufficio Studi di Assogestioni di integrare il proprio patrimonio informativo, tradizionalmente focalizzato sulla produzione, con un’analisi dettagliata della distribuzione dei fondi comuni “nasce – spiega Rota – dalla maggiore complessità assunta dal mercato italiano dei fondi come conseguenza di questi fenomeni, assieme al ruolo sempre più critico che la fase distributiva ha assunto nel garantire la sostenibilità del modello di business delle case di gestione”.

Il Quaderno di Ricerca mette in luce anche altri aspetti: “Tra i gestori integrati, categoria nella quale sono inclusi anche quelli legati da rapporti di partnership strategica con uno o più distributori selezionati, è netta la prevalenza della clientela mass-affluent (78% del patrimonio), così come è preponderante il ricorso al canale bancario (75%). Per converso tra i gestori non integrati, classe che comprende la maggioranza dei gruppi di matrice estera, la clientela private rappresenta la metà dei sottoscrittori e il ricorso al canale dei consulenti incide per oltre il 40%”.

Per la prima volta è stato misurato il grado di apertura dell’architettura distributiva definito calcolando l’incidenza dei fondi di terzi sul totale collocato. Sulla base di questa definizione, secondo quanto emerge dallo studio, il valore medio ponderato di questa misura, riferito al sistema distributivo nel suo complesso e calcolato includendo il contributo di gestioni di portafoglio e polizze unit-linked, si attesta al 50%.
“Il dettaglio dei dati raccolti – continua Rota – ha poi consentito di evidenziare il diverso grado di apertura delle varie categorie di distributori definite in base alla specializzazione per canale e clientela. Sul punto si rileva, ad esempio, che gli sportelli bancari dedicati alla clientela mass-affluent fanno segnare livelli di apertura relativamente modesti (mediamente 30% circa); viceversa le banche private e le reti di consulenti si contraddistinguono per valori medi più che doppi (rispettivamente 66% e 62%)”.

Il lavoro affronta, infine, numerose altre tematiche quali ad esempio la complessa relazione a livello di distributore tra il numero di accordi distributivi sottoscritti, il peso delle fund house più vendute e il grado di apertura; oppure la presenza di fondi, in particolare di fondi non captive, nelle gestioni di portafoglio o nelle polizze unit-linked.

Fonte: Assogestioni