di Stefania Peveraro
Grande vittoria del fintech alla Camera nella nottata tra lunedì 18 e martedì 19 dicembre, con la Commissione Bilancio che ha approvato l’emendamento a firma di Sebastiano Barbanti (Pd), membro della Commissione Finanze, che propone, per interessi e capital gain derivanti da investimenti in prestiti erogati da privati a privati e imprese tramite piattaforme fintech, la medesima tassazione applicata oggi ai redditi degli strumenti finanziari e quindi un’aliquota del 26% e non più quella marginale applicata ai redditi personali. L’emendamento, farà parte del testo che sarà portato alla Camera per il voto di fiducia nei prossimi giorni e dunque è dato per scontato che la modifica proposta diventerà legge.

Nel dettaglio, l’emendamento modifica l’art. 44 del testo Unico delle imposte sui redditi, introducendo la specifica che le piattaforme fintech in questione devono essere gestite da società autorizzate da Banca d’Italia in quanto finanziarie ex art. 106 TUB e/o da istituti di pagamento e che le stesse piattaforme devono operare una ritenuta alla fonte a titolo d’imposta sui redditi da capitale. La modifica era stata chiesta a gran voce da tutte le piattaforme dedicate al lending da parte di privati ed era uno dei temi sollevati da AssoFintech in occasione dell’audizione alla Camera lo scorso novembre nell’ambito dell’indagine conoscitiva sul fintech.

Sempre in quell’occasione, l’associazione di categoria aveva chiesto anche di affrontare il tema del codice fiscale di soggetti non residenti: a oggi, infatti, chiunque sottoscriva un contratto di natura patrimoniale in Italia deve fornire un codice fiscale italiano al fornitore, il che certo non è impossibile ma richiede un impegno da parte dell’utente, il quale spesso vista l’immediatezza di internet, perde interesse all’operazione e non la fa più. Anche questa questione ora sembra risolta, visto che lo stesso emendamento sulla tassazione del lending con una riga introduce una modifica di legge che fa sì che al posto del codice fiscale possano essere considerati sufficienti una serie di dati anagrafici delle persone fisiche o giuridiche.

E’ stato poi approvato un altro emendamento, in questo caso presentato da Michele Pelillo (Pd), che prevede che gli enti di previdenza e i fondi pensione possano investire nell’ambito dei Pir (quindi beneficiando dei relativi incentivi fiscali), somme sino al 5% dell’attivo patrimoniale nell’acquisto di quote di prestiti o di fondi di credito cartolarizzati erogati e/o originati per il tramite di piattaforme di prestiti per soggetti non professionali, intermediari finanziari, istituti di pagamento, ovvero soggetti operanti e vigilati sul territorio italiano in quanto autorizzati in altri Stati dell’Ue.

In sospeso altri due emendamenti. Silvia Fregolent, insieme al presidente della Commissione Finanze Maurizio Bernardo, ne ha presentato uno per rendere possibile un mercato secondario delle quote di società che raccolgono capitali tramite portali di equity crowdfunding. L’altro, presentato da Bernardo, Fregolent e Sebastiano Barbanti chiede di spingere i Pir a investire almeno l’1,5% dei loro asset in fondi o società di capitali che investano almeno il 70% dei loro asset in startup innovative. (riproduzione riservata)
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