di Olivia Zonca
A quasi un anno dall’introduzione dei Pir (Piani individuali di risparmio) diversi dubbi interpretativi non hanno trovato soluzione né nell’art. 57, comma 2, del decreto legge 24 aprile 2017, n. 50, con il quale sono state apportate per lo più modifiche formali, né nelle linee guida pubblicate dal Dipartimento delle Finanze. Peraltro, proprio le linee guida hanno ampliato l’ambito di applicazione dell’agevolazione con la possibilità di movimentazione del piano e le modalità di calcolo dell’investimento Pir compliant nel caso di investimenti effettuati tramite Oicr.

Come ormai noto, il Pir è un contenitore fiscale (Oicr, contratto di assicurazione, deposito titoli) all’interno del quale i risparmiatori possono collocare ogni tipologia di strumento finanziario (azioni, obbligazioni, quote di Oicr, derivati) rispettando però determinati vincoli di investimento. È possibile cioè creare un Pir anche semplicemente mediante la sottoscrizione di quote di un Oicr, istituito in Italia o in uno Stato Ue, a condizione che esso rispetti i requisiti previsti dalla normativa. La finalità è favorire il processo di crescita e di sviluppo di imprese che hanno un maggiore fabbisogno finanziario e nel contempo difficoltà a reperire risorse tramite il canale bancario, indirizzando il risparmio delle famiglie verso investimenti produttivi. Questa finalità viene perseguita assicurando un’agevolazione fiscale alle persone fisiche residenti in Italia, nel rispetto di talune condizioni. È prevista l’esenzione da tassazione dei redditi derivanti dagli investimenti contenuti nel Pir, ma non possono essere conferiti nel piano più di 30 mila euro all’anno entro un limite di 150 mila euro, gli asset conferiti devono rimanere nel Pir per almeno cinque anni. Su questo fronte, uno dei più interessanti elementi di novità introdotti dalle linee guida del Mef consiste nell’equiparazione delle cessioni al rimborso dei titoli alla condizione che il reinvestimento delle somme avvenga entro 90 giorni.

Due questioni rimangono tuttavia, al momento irrisolte: la prima è relativa alla possibilità di sottoscrizione di un Pir da parte di un minore; la seconda è connessa a un eventuale cambio di residenza dell’investitore prima del compimento del quinquennio. Sul primo punto, la normativa in materia di Pir non prevede limitazioni rispetto all’età, rinviando, di fatto, alle regole di carattere generale previste dal codice civile. Pertanto, in linea teorica, il minore potrebbe ben essere titolare di un Pir, ma l’usufruttuario legale dell’investimento sarebbe in tal caso il tutore, il quale, a sua volta, potrebbe essere titolare di un Pir. Non è quindi escluso che tale circostanza possa condurre l’amministrazione finanziaria a una chiusura sul punto, dato che la normativa prevede che non si possa essere titolari di più di un Pir.

Circa la seconda questione, la perdita del requisito della residenza porterebbe alla chiusura del rapporto Pir, in questo caso, l’amministrazione finanziaria potrebbe comunque non voler penalizzare l’investitore che abbia cambiato residenza prima che si sia concluso il quinquennio, ma che al momento dell’investimento aveva tutti i requisiti per accedere al regime agevolato.

Oltre al vincolo di detenzione, la normativa impone poi vincoli di composizione del patrimonio. In particolare, la norma prevede che almeno il 70% del valore complessivo del Pir debba essere investito in strumenti finanziari emessi o stipulati con imprese residenti in Italia, o in Stati membri dell’Ue con stabile organizzazione in Italia. Inoltre, di tale 70%, almeno il 30% deve essere investito in strumenti finanziari emessi da imprese diverse da quelle inserite nell’indice Ftse Mib o in indici equivalenti. Il restante 30% è invece libero. Questi vincoli di investimento rispondono a ben precise finalità di politica economica analogamente a quanto avviene da tempo in altri paesi europei come la Francia con i Plan d’epargne en actions (Pea) e nel Regno Unito con gli Individual saving accounts (Isa).

Come si vede dunque, la normativa pone non pochi paletti all’investitore (o al gestore del fondo, nel caso in cui nel Pir si voglia inserire un prodotto di risparmio gestito); questo ha reso particolarmente complesso il lavoro che gli operatori finanziari hanno dovuto compiere negli scorsi mesi per definire le proprie procedure operative, adeguando i sistemi di back office, operando, come spesso accade quando si ha a che fare con la fiscalità finanziaria, al buio, ovvero disponendo, di fatto, solo del testo normativo e affidando la gestione delle complessità proprie dei processi informatici ad assumption che dovranno essere oggetto di fine tuning man mano che l’amministrazione finanziaria fornirà i necessari chiarimenti. Si pensi, ad esempio alla possibilità di investimento in strumenti finanziari derivati e, in caso positivo, in quale misura, così come non è ancora chiaro quale valore di costo debba essere considerato per i titoli destinati in un rapporto Pir ai fini del calcolo del plafond dei 30 mila euro e del suo reintegro in caso di disinvestimento.
Bastano questi brevi accenni per dare un’idea di come la normativa Pir sia ben lontana dall’essere consolidata e, conseguentemente, di come il collocamento del «prodotto Pir inteso come «contenitore» di asset, non sia ancora particolarmente diffuso tra gli operatori finanziari. Proprio per questo motivo, noi di Bnp Paribas Securities Services, banca del gruppo Bnp Paribas leader nel settore del post trading e dell’attività di banca depositaria per gli Oicr, ha predisposto una serie di servizi su misura per consentire agli intermediari finanziari di essere immediatamente operativi, specialmente se desiderano collocare prodotti di risparmio gestito Pir compliant e in questo modo cogliere importanti opportunità di business.

*Bnp Paribas Securities Services
Fonte: