di Anna Messia
Assicurazioni italiane trasparenti sui propri rischi ma meno pronte a svelare i compensi pagati ai propri manager. Mentre, per quanto riguarda la solidità patrimoniale, le compagnie della Penisola sono ben messe e hanno in media un Solvency ratio del 220% superiore a quanto mostrano le compagnie inglesi (151%), olandesi (177%) o belghe (176%) e sostanzialmente simile a quelli di Francia (223%) e Spagna (240). Tra i grandi Paesi del Continente la classifica è però guidata dalla Germania, che esibisce un Solvency ratio del 323% seguito dalla Danimarca (304%). Il quadro è stato dipinto da Ania in collaborazione con Deloitte Risk Advisory, i consulenti Antonia Di Bella, Sergio Mattiuz e Riccardo Sabbatini, che hanno raccolto e analizzato 105 Solvency and Financial Condition Report (Sfcr) pubblicati per la prima volta da altrettante società e 17 gruppi assicurativi del Paese sui dati del 2016. Un’istantanea rappresentativa del 99,9% del mercato in termini di premi, capace di offrire una radiografia completa sull’intero mercato assicurativo nazionale e anche un confronto con il resto d’Europa.

Sotto la lente sono passati anche i report su Solvency II dei principali 40 gruppi assicurativi europei e l’esito sul confronto del livello di disclosure raggiunto dalle imprese operanti nella Penisola è confortante, si legge nel report: se per esempio in tema di retribuzione ai manager l’informazione fornita dai player esteri è risultata in alcuni aspetti più dettagliata, la trasparenza offerta dalle compagnie italiane sui profili di rischio, organizzazione aziendale e sistemi di corporate governance è stata nel complesso migliore. «Analizzando più in dettaglio il mercato italiano la metrica di Solvency II sottolinea la natura soprattutto finanziaria delle compagnie della Penisola», si osserva nell’analisi, «anche per la prevalenza del ramo Vita rispetto al ramo Danni». Nei report Sfcr analizzati, che sono formati in media da un’ottantina di pagine, ci sono informazioni di ogni tipo che riguardano le imprese. Dalle tecniche di sottoscrizione e di gestione dei rischi, all’organizzazione interna e alla corporale governance. Un’informativa che è stata predisposta sulla base delle linee guida definite dall’Eiopa, l’autorità di controllo europea del settore, ma il livello di profondità e la metodologia di rappresentazione delle informazioni risultano piuttosto diversificare tra i vari Paesi. Per quanto riguarda le imprese italiane particolare rilievo è stato dedicato all’articolazione delle competenza all’interno del consiglio di amministrazione, alla presenza di comitati consiliari e alle loro funzioni. Il quadro che emerge è così caratterizzato da assetti evoluti di corporate governance. Ma per quanto riguarda le remunerazioni il confronto europeo sembra essere però perdente: come rilevato dall’analisi, nei report sono assenti indicazioni quantitative sulla retribuzione dei manager, a differenza di quanto si rileva in circa un quarto dei gruppo assicurativi esteri censiti dallo studio. Dall’analisi emerge poi un altro dato interessante: misurare il mercato assicurativo italiano con il metro del solvency capital requirement, valore che in sintesi rappresenta l’indicatore sintetico di tutti i rischi dell’impresa, cambia la classifica delle assicurazioni nel Paese. L’Scr più alto del 2016 è infatti di Generali Italia (7.862 milioni di euro) che in termini di premi è invece la seconda del mercato (12.914 milioni di euro), alle spalle di Poste Vita, prima per volume di Premi (19.820 milioni) ma solo terza se si guarda ai rischi corsi dalla compagnia. L’Scr della compagnia del gruppo Poste Italiane è pari a 2.737 milioni, più basso anche di Intesa Sanpaolo Vita che nella classifica Ania risulta terza per premi con 10.438 milioni.

Non solo. L’analisi sui Solvency and Financial Condition Report lascia aperto un altro interrogativo: l’Eiopa, prima dell’avvio di Solvency II, aveva ipotizzato un significativo vantaggio, in termini di Solvency capital requirement, a favore delle compagnie che avessero optato per il modello interno, definito su misura dalla singola impresa (e ovviamente approvato dalle autorità) e quindi più preciso rispetto alla formula standard. In pratica, in cambio di un modello interno, decisamente più costoso, le compagnie avrebbero potuto risparmiare capitale e Eiopa aveva anche fatto delle stime: il surplus di capitale ottenibile con la formula standard avrebbe potuto raggiungere i 197 milioni con il modello interno. Dall’analisi pubblicata da Ania il vantaggio in termini di capitale non appare però affatto evidente. Anzi. La scelta del modello interno non sembra essere finalizzata a ottenere sconti in termini di Scr ma piuttosto solo dall’opportunità di presentare al meglio il proprio profilo di rischio. (riproduzione riservata)
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