di Elena dal Maso
Unicredit ha avviato ufficialmente un negoziato in esclusiva con Amundi per la possibile vendita di Pioneer Investments ai francesi, che fanno parte del gruppo Crédit Agricole. Secondo le stime, la valorizzazione della società di asset management dovrebbe essere di oltre 3 miliardi di euro. La notizia è giunta all’indomani del referendum costituzionale, che ha evidenziato un No deciso al governo del premier Renzi. L’offerta di Amundi era apparsa la più alta in valore assoluto fin dalle prime battute, ma quella della cordata concorrente Poste-Cdp-Anima aveva il vantaggio di mantenere sotto la bandiera italiana 145 miliardi di masse in gestione che si andavano ad aggiungere ai 147 già nella mani di Anima e Poste per un aggregato di circa 300 miliardi che sarebbe diventato il terzo player del Paese dopo Generali e Intesa . Secondo alcune fonti di mercato, il rischio di instabilità politica in vista dell’aumento di capitale ha suggerito all’istituto di Piazza Gae Aulenti di accelerare i tempi con il candidato acquirente disposto a offrire di più (si parla di una cifra tra 3 e 3,5 miliardi). Fino a oggi era in gioco quindi anche la cordata concorrente, composta da Poste, Anima e Cassa Depositi e Prestiti, che nelle scorse settimane hanno organizzato un’alleanza che vivrà indipendentemente dall’aggiudicazione di Pioneer e a questo punto le farà concorrenza diretta.

Tant’è che un paio di ore dopo la comunicazione di Unicredit , che ha chiuso la seduta di ieri con un calo del 2,78% a 2,026 euro, è arrivata quella di Poste Italiane (-0,77% in borsa). Il gruppo guidato da Francesco Caio ha specificato che considera la crescita per acquisizione uno degli elementi del suo piano di sviluppo, «a condizione che gli investimenti vengano orientati su aziende con forti sinergie strategiche e industriali e che i valori investiti siano coerenti con le prospettive di ritorno per gli azionisti». Poste ha presentato assieme ad Anima e Cdp un’offerta per Pioneer «coerente con criteri di selezione e valutazione degli investimenti che sono stati definiti nell’ambito del piano industriale» e, a esito di ulteriori analisi e approfondimenti svolti, «ha concluso in accordo con i propri partner che, allo stato, un’operazione a valori più elevati, tenuto conto anche di altre opportunità di crescita esterna perseguibili grazie al rafforzamento dell’alleanza con Anima , non sarebbe in linea con obiettivi di ritorno adeguati per i propri azionisti». Poste quindi non intende rilanciare nel caso Unicredit non riesca a trovare alla fine un accordo con Amundi, perché il prezzo di acquisizione sarebbe considerato troppo alto. Gli analisti di Mediobanca Securities hanno scritto più volte che Poste non avrebbe dovuto indebitarsi in maniera eccessiva per aggiudicarsi Pioneer.

Sempre ieri Poste ha ricordato l’alleanza con Anima Holding cui conferirà, entro la prima metà del 2017, BancoPosta Fondi Sgr. «A seguito di tale operazione, Poste aumenterà la sua quota di partecipazione in Anima dal 10,3% al 24,9% diventando così l’azionista di riferimento di un campione nazionale dell’industria con circa 145 miliardi di masse gestite», riporta la nota.

E intanto il mercato si attende il piano di ristrutturazione di Unicredit , che sarà presentato ufficialmente martedì prossimo, 13 dicembre. Sotto questo fronte, come anticipato da MF-Milano Finanza, gli advisor di Unicredit , Morgan Stanley e lo studio legale Paul Hastings, hanno ricevuto da Pimco, Fortress e Cerberus offerte migliorative per il pacchetto di 20 miliardi di sofferennze in vendita, per il pacchetto di sofferenze da 20 miliardi netti messo in vendita dalla banca guidata dall’ad Jean Pierre Mustier.

Dal prezzo che si potrà realizzare con la vendita di Pioneer, Pekao e degli npl dipende l’entità dell’aumento di capiltale da 10-13 miliardi di euro per rinforzare il Common equity tier one ratio ora al 10,8%.
Venerdì scorso l’Eba ha pubblicato il resoconto del primo semestre 2016 sugli istituti di credito (Risk Assessment), in tutto 157, di cui 15 italiani. Dal quadro emerge che l’esposizione al rischio di Unicredit a fine 2015 era pari a 390,599 miliardi di euro, di cui 333,598 miliardi a rischio di credito. L’esposizione al rischio della banca al 30 giugno scorso era invece pari a 399,260 miliardi di euro, di cui 337,609 a rischio di credito. (riproduzione riservata)
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