di Anna Messia
Hanno 185 anni di storia alle spalle e sono tra i più grandi assicuratori al mondo ma in Generali Assicurazioni sembrano muoversi con molta agilità nei repentini cambiamenti. In ballo in questi giorni ci sono importanti riallocazioni geografiche ma anche profondi riassetti manageriali. Come quelli che riguardano la poltrona del chief investment officer del gruppo, Nikhil Srinivasan, al quale era affidata la gestione del portafoglio investimenti del gruppo (una cifra monstre pari a 466 miliardi) e che appare ormai prossimo all’uscita. Srinivasan era uno dei top manager chiamati in Generali poco più di tre anni fa dall’allora group ceo Mario Greco, e tra l’altro non è il primo manager legato al precedente ceo che ha deciso di lasciare il gruppo dopo che Philippe Donnet, a marzo scorso, ha preso il timone del Leone. A maggio aveva lasciato anche il group chief operating officer, Carsten Schildknecht, e le sue funzioni erano state assorbite nell’area di Alberto Minali, direttore generale e cfo del gruppo. Mentre, a settembre scorso, il responsabile dell’Asia Jack Howell, ha deciso di seguire proprio Greco in Zurich.
Nonostante Donnet, già numero uno di Generali Italia, nel suo nuovo incarico avesse chiarito fin da subito di volersi muovere nel segno della continuità non ha quindi potuto fare a meno di decidere innesti importanti nell’organigramma del Leone. Per sostituire Srinivasan ha chiamato per esempio Tim Ryan, al momento consulente indipendente, ma che fino al 2015 è stato presidente e ceo di AllianceBernstein, una società del gruppo Axa , e che assumerà il nuovo a incarico a inizio 2017. Mentre, per prendere il suo posto a capo di Generali Italia, Donnet lo scorso maggio ha promosso il giovane Marco Sesana, già Insurance e Operations officer della compagnia, che a breve sarà nominato anche country dell’Italia, un incarico che Donnet aveva finora mantenuto ad interim.
Ma il nuovo group ceo ha fatto anche una mossa inaspettata: lo scorso settembre ha chiamato nel gruppo Frédéric de Courtois, per anni numero uno di Axa Italia, e gli ha affidato una poltrona strategica, che riporta direttamente a lui. De Courtoris è infatti responsabile di nuova funzione denominata Global Business Lines e International e ha un compito decisamente importante per l’attuazione del piano strategico delineato nell’investor day di Londra dello scorso novembre.

Uno dei sei pilastri del piano che dovrà consentire di tenere fermi gli obiettivi finanziari (e i 5 miliardi di dividendi al 2018) in un contesto di mercato decisamente più difficile, passa infatti per un riassetto geografico del gruppo affidato proprio a de Courtois. Una riallocazione profonda, che prevede l’uscita di Generali da mercati considerati non strategici, e che dovrà liberare 1 miliardo di euro di risorse che saranno poi reinvestiti sulla crescita del gruppo. A Londra de Courtois non ha fatto i nomi dei Paesi da cui Generali ha scelto di uscire ma ha detto che la decisione è già stata presa e ha anche fatto una mappatura molto dettagliata, con indicazioni precise. Da dismettere ci sono in particolare società che fanno capo a 13-15 mercati, che sono un mix di Paesi emergenti e mercati maturi dove Generali non è riuscita a raggiungere una dimensione adeguata per creare un business profittevole.
Poi ci sono 16-18 mercati in cui rientrano Paesi asiatici, dell’America Latina, ma anche dell’Europa centro orientale e le global business lines. Si tratta di mercati interessanti, in cui Generali è ben posizionata ma non ha ancora raggiunto la dimensione sperata, ma su cui è pronta a investire per crescere. E poi ci sono i grandi mercati europei (come Italia, Germania o Francia), dove il gruppo ha posizioni rilevanti ma che vengono considerati ancora attraenti. Da dismettere ci sono in particolare circa il 5% dei premi del gruppo, ovvero circa 3,7 dei 74 miliardi complessivi del gruppo. Ma in termini di risultato operativo quegli stessi Paesi rappresentano meno dell’1%, a riprova della scarsa profittabilità di quelle attività.
Chi corrisponde all’identikit dei Paesi da abbandonare? Forse conviene partire dall’esercizio contrario e ragionare su quali sono i Paesi considerati strategici per Generali . Di sicuro nella lista dei preferiti ci sono i Paesi asiatici, che complessivamente, a fine 2015, raccoglievano oltre 2 miliardi di premi con un risultato operativo di 141 milioni, e la Cina è in pole position. Durante l’investor day de Courtois ha ricordato che nel Paese Generali è la terza compagnia estera, ed è prima nel settore degli employee benefit. Non solo. Di recente Generali ha rafforzato l’alleanza con Cnpc, la China National Petroleum Corporation per utilizzare la loro immensa banca dati clienti per vendere le polizze, con enormi potenzialità. La stessa strategia seguita in India con il partner locale retail Future Group. In Asia la compagnia è poi presente in Indonesia, Vietnam, Malesia, Filippine, Thailandia e Hong Kong e si tratta di mercati tutti in crescita, ma «sarebbe sbagliato considerare l’Asia intoccabile», ha detto il manager a Londra. La scelta sembra condizionata dalle opportunità che si presenteranno all’orizzonte. In altre parole se Generali riuscirà a trovare partner con cui crescere rapidamente potrà valutare anche possibili investimenti altrimenti potrebbe considerare di dismettere qualche business.

I riassetti più profondi sono però attesi in America Latina che rappresenta 1,4 miliardi di premi, ma con un risultato operativo di appena 63 milioni. Di sicuro non si tratta dell’Argentina, dove Generali è leader di mercato e ora vuole crescere nel comparto non motor. E neppure del Brasile dove, dopo le perdite degli anni passati, un nuovo ceo e un nuovo management team hanno rimesso in carreggiata la società e, grazie anche all’accorso con un partner finanziario locale (la Bmg che apporta in dote 3 milioni di clienti), il Leone conta di raggiungere il break-even l’anno prossimo. Ma sotto osservazione ci sarebbero praticamente tutti gli altri Paesi sudamericani in cui Generali è presente. Ovvero Colombia, Ecuador e Panama e del resto proprio di recente Generali ha già venduto le sue attività in Guatemala. Sotto osservazione resta poi l’area dell’Est Europa. Generali Cee holding vale ben 3,5 miliardi di premi con un risultato operativo di 441 milioni e controlla compagnie che sono al primo posto del mercato in Repubblica Ceca e Ungheria. Ma Generali è anche la seconda compagnia assicurativa in Serbia e terza in Slovacchia. Mentre ha posizioni più arretrate in Croazia, Bulgaria e Slovenia. In Polonia, poi, è solo al nono posto ma in Generali sembrerebbero considerare strategica questa società, al pari della partecipata in Turchia che pure ha dimensioni contenute ma che non sarebbe nella lista delle società da cedere. Tra le possibili società da dismettere ci sarebbero invece le partecipate in Belgio e Olanda, dove il gruppo non è riuscito ad affermare il suo brand come leader di mercato, e tra le cessioni potrebbe finire pure la partecipata in Tunisia. «Investiremo nei mercati in cui possiamo fare la differenza e possiamo posizionarci tra i primi cinque player del mercato mentre usciremo dagli altri per rendere la compagnia più semplice e migliorare l’allocazione del capitale», ha spiegato de Courtois al mercato. Il grande riassetto è partito. (riproduzione riservata)
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