di Manuel Follis
Capitali stranieri all’attacco delle aziende italiane. Un dejà-vu, visto che l’ingresso di azionisti internazionali – di controllo o meno – nelle società italiane è un fenomeno ricorrente. C’è poi qualche Paese che più di altri sembra averci preso gusto individuando nell’Italia il terreno di caccia preferito. Il riferimento è ovviamente alla Francia, tornata prepontemente sotto i riflettori dopo che Vivendi , già da mesi primo azionista di Telecom Italia , è salita al 20% di Mediaset con l’intenzione accreditata di salire ancora e con strategie che restano tutte da interpretare. Quello che è successo, ancora una volta, è che il mondo della politica (che dà la sensazione di intervenire sempre con una se non due mosse di ritardo rispetto ai tempi dell’industria) è insorto in difesa di un asset diventato improvvisamente fondamentale per il Paese (Mediaset ) riportando al centro della questione l’espansione francese in Italia. Espansione che effettivamente sembra in piena accelerazione e che viene perseguita con un’abilità e una rapidità tali da strappare timidi apprezzamenti anche dai difensori più strenui dell’italianità delle imprese.

L’attacco francese è sempre ispirato dallo spirito di grandeur, scaltro, molto interventista, in alcuni casi poco politicaly correct. Un esempio è Parmalat , dove Lactalis ha soffiato sotto il naso all’Italia un’azienda che dopo il crac di Tanzi era tornata ricca di prospettive (e soprattutto di soldi in cassa) e che negli ultimi mesi è stata accusata dalle minoranze di volerne ridurre il peso nella gestione aziendale.
Che dire invece di Vivendi ? Da quando il colosso dei contenuti francese guidato da Vincent Bollorè e Antoine De Puyfontaine è entrato in Italia ha sempre dichiarato di volersi muovere senza fretta e in grande accordo con tutti i soggetti italiani ma in realtà è sembrato più un (furbissimo) elefante in cristalleria. Nel dicembre del 2015 ha deciso di approfittare dell’assemblea di Telecom già convocata per la conversione delle azioni risparmio in ordinarie (che inizialmente secondo Vivendi era una scelta opportuna e vantaggiosa) per inserire all’ordine del giorno anche l’inserimento nel board della compagnia italiana di 4 membri nominati dai francesi. Quando Assogestioni ha sollevato perplessità sulla richiesta di Bollorè (ritenendo 4 nuovi membri eccessivi), la reazione è stata il voto contrario dei francesi alla conversione (che infatti non è passata), Francesi che al tempo stesso sono riusciti a nominare i loro rappresentanti in cda. Molti investitori stranieri non hanno nascosto le loro perplessità per il comportamento di Vivendi in merito alla conversione delle risparmio. Pochi mesi dopo è scattato il caso-Mediaset , iniziato con la trattativa per l’acquisto di Premium da parte di Vivendi . Era tutto già deciso, ma all’ultimo i francesi hanno cambiato idea, generando un danno notevole all’azienda di Berlusconi, le cui azioni sono scese in borsa e sono poi state rastrellate dai transalpini che oggi si trovano quindi al 20%. Insomma, le manovre dei francesi sono di sicuro incisive ma il loro impatto sul mercato è da caterpillar.

C’è poi un altro aspetto che riguarda il modello francese, l’abilità dei manager nel creare attorno a sè alleanze e consensi. E così, in un discorso di ampio respiro riguardante l’assalto transalpino alle aziende italiane è impossibile non citare i casi di Generali e Unicredit . Lo scorso marzo infatti c’è stato il cambio al vertice delle Generali , la principale compagnia assicurativa italiana (21,5 miliardi di capitalizzazione), che ha ingaggato come ceo il francese Philippe Donnet (affiancato dal direttore generale Alberto Minali) al posto di Mario Greco. In giugno, poi, la nomina di Jean-Pierre Mustier al vertice di Unicredit (16,2 miliardi di capitalizzazione) ha rappresentato uno spartiacque. La scelta del manager che sarebbe andato al posto di Federico Ghizzoni aveva tenuto banco per settimane con un toto-nomine che aveva impazzato in lungo e in largo, ma alla fine la scelta del banchiere francese, con già un’esperienza precedente in Unicredit , ha aperto una questione francese a Piazza Affari. Una questione che già allora era stata aperta perché era stato inevitabile vedere dall’alto la presenza di Vincent Bollorè in Telecom quella di Donnet in Generali e quella di Mustier in Unicredit come una sorta di conquista dei transalpini dei principali gruppi del paese.

Ma come gestiscono le loro aziende questi manager? Nei casi di Mustier o Donnet gli azionisti possono essere molto contenti nel primo caso e moderatamente soddisfatti nel secondo. Il numero uno di Unicredit , va detto, ha finora proceduto alla cessione di asset ritenuti non più strategici, operazioni che generando cassa (e rafforzando il capitale) hanno convinto il mercato. E così sotto la gestione di Mustier il titolo dell’istituto di credito ha guadagnato il 45%. Positiva, pur con valori del tutto diversi, anche la gestione di Donnet, sotto la cui guida le azioni Generali hanno guadagnato il 3,6%. E con il tandem transalpino al comando di una delle due big bank italiane e della principale compagnia assicurativa sono tornate d’attualità le voci che vogliono portare Piazza Gae Aulenti sotto il cappello di Socgen e Trieste nell’orbita di Axa .

Parmalat è sotto il controllo di Lactalis da molto più tempo, ma dal 2011, anno in cui è cambiato il controllo, il titolo ha guadagnato il 12,5% ma va detto che il flottante è quasi inesistente. Solo Telecom, da quando sono entrati i 4 rappresentanti di Bolloré a metà dicembre 2015, ha lasciato sul terreno il 29,7%.

Bastano le performance di borsa a rendere conveniente l’invasione? La risposta implica un numero di variabili tali, comprese quelle politiche, da risultare alquanto complessa. Resta il fatto che, come ha ben evidenziato a fine luglio Guido Salerno Aletta su questo giornale, la Francia continua a far spesa in Italia per bilanciare il suo scarso peso economico rispetto alla Germania e ovviamente per far crescere di dimensione le sue imprese.

Da cinque anni a questa parte, approfittando della lunga crisi italica e delle basse quotazioni di borsa il valore delle acquisizioni francesi è stato di ben 24 miliardi, rispetto agli 11 miliardi delle imprese italiane, con una prima ondata di operazioni riguardante il mondo della moda. E così le vicende di Telecom e di Mediaset fino al caso di Suez che è da poco diventato primo azionista privato in Acea , non lasciano dubbi sul fatto che l’interesse delle imprese francesi a crescere acquisendo interi pezzi del sistema produttivo italiano prosegua. Già 20 anni fa si registrava una analoga attenzione: così come Canal+ era interessata al settore della televisione a pagamento, Edf guardava a quello delle telecomunicazioni, entrando in partnership con Enel per il lancio di Wind (oggi diventata russo-cinese). Crediop, tra tutte, fece le spese di quella prima fase di ingresso della Francia nel settore bancario italiano: ora si guarda, ma non si compra. Nel complesso, ricordava Salerno Aletta le relazioni italo-francesi stanno conoscendo una fase di intensificazione, sempre complessa. Anche se da qualche tempo Roma e Parigi hanno il convergente interesse politico a bilanciare il ruolo pressoché egemonico di Berlino nel determinare le politiche europee di rigore fiscale, è del tutto inimmaginabile un asse in grado di rimpiazzare quello che lega Francia e Germania da oltre 50 anni.

Va detto, in ogni caso, che lo shopping di aziende italiane non è stata un’esclusiva dei francesi. Intanto, nella tabella di pagina 9 sono elencate solo le società il cui controllo è in qualche modo riferibile ad aziende straniere (quelle francesi sono evidenziate) e non compaiono quindi quelle che, almeno al momento, hanno deciso di accontentarsi di una quota di minoranza come, solo per citare un settore strategico come quello dell’energia la citata Acea o Saras , che nel suo azionariato ha visto l’ingresso dei russi di Rosneft. Quanto al controllo e solo per citare alcuni casi, i cinesi oltre a Pirelli hanno preso l’Inter e sembrano i più accreditati per rilevare anche il Milan, mentre Abu Dhabi ha conquistato Piaggio Aerospace e Alitalia (attraverso Etihad). E il bello è che il trend sembra destinato a confermarsi per il futuro, perché le occasionissime offerte dal mercato italiano hanno fatto gola finora a molti grandi gruppi, ma sono sempre più presenti sui tavoli dei grandi fondi di private equity (la maggior parte dei quali stranieri) pronti a intervenire su molti dossier aperti.
Nella tabella in pagina si citano alcuni di questi dossier, a testimonianza che altre aziende potrebbero subire rivoluzioni nella governance. Si tratta di operazioni ancora in fase di definizione, e anche laddove il fondo interessato è italiano, non è detto che poi l’acquirente finale non possa essere invece straniero. Come dire, una volta che ho deciso di mettermi in vendita scelgo il miglior offerente. Come l’Italia, a livello politico o di sistema, affronterà la calata degli stranieri, in primis quelli francesi, sarà probabilmente uno degli argomenti chiave del 2017. (riproduzione riservata)
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