di Paola Valentini
Ubi Pramerica Sgr cresce più della media di mercato. Lo dicono i numeri. Nei dieci mesi del 2016 la società di gestione, nata 15 anni fa da una joint venture tra il gruppo Ubi e gli statunitensi di Pramerica Financial (compagnia di assicurazione fondata a Newark nel 1874 che nel tempo ha diversificato le attività anche nell’asset management), ha raccolto 4,56 miliardi di euro. Il dato ha fatto crescere le masse in gestione del 10,7% rispetto alla fine del 2015 a quota 47,6 miliardi. Nello stesso periodo l’industria italiana del risparmio gestito ha registrato flussi per 51 miliardi che hanno portato le masse ad aumentare del 2,7% fino ai 1.913 miliardi di fine ottobre. E, in una fase in cui il consolidamento tra società di gestione è all’ordine del giorno per aumentare le dimensioni e cercare di combattere l’avanzata delle gestioni passive e mentre sempre più esteri arrivano in Italia per conquistare il ricco bacino di risparmio degli italiani, l’alleanza con la seconda compagnia assicurativa Usa permette al gruppo Ubi (che ha il 65% della joint venture) di avere su questo fronte le spalle già ben coperte.
«Si tratta di una partnership industriale che prevede una forte integrazione tra Ubi e Pramerica e d’altra parte ci permette anche di essere autonomi in Italia, dove il team di gestione guidato da Emilio Francoe si occupa degli investimenti in euro, mentre la parte restante dei portafogli è gestita in delega da tre boutique statunitensi del gruppo Pramerica, ovvero Jennison Associates, Pgim Fixed Income e Qma», spiega Andrea Ghidoni, che da luglio scorso è amministratore delegato e direttore generale di Ubi Pramerica Sgr. «La responsabilità degli investimenti alla fine è comunque di Ubi». La collaborazione fino a poco tempo fa ha potuto cavalcare tassi di crescita molto elevati per il risparmio gestito italiano. Ma, come dimostrano i numeri di raccolta dell’industria, quest’anno si è assistito a un netto rallentamento. Il saldo della raccolta netta dei dieci mesi ammonta a 51 miliardi a fronte dei 126 miliardi dello stesso periodo del 2015. «I tassi bassi fino a poco tempo fa hanno dato una forte spinta al nostro settore, ma ora il mercato è diventato più difficile perché il Paese cresce poco e ciò frena la crescita della ricchezza finanziaria», spiega Ghidoni. «Al contempo l’elevata incertezza dei mercati, scossi nell’ultimo anno da una serie di eventi che hanno portato volatilità, dalla crisi asiatica dello scorso gennaio fino alle vicende domestiche legate ai referendum, spinge le famiglie a lasciare i risparmi sul conto corrente e a rinviare le decisioni di investimento».
Ne è prova la tendenza in atto tra le reti di consulenti finanziaria, la cui raccolta in ottobre è raddoppiata grazie al boom dei prodotti di liquidità. Dai dati di Assoreti emerge che la raccolta totale delle reti è stata di 25 miliardi nei dieci mesi (in aumento rispetto ai 22,5 miliardi dello stesso periodo 2015). Gli investimenti netti sui prodotti del risparmio gestito sono stati 13,3 miliardi da inizio anno contro i 19 miliardi dei dieci mesi del 2015. Mentre le movimentazioni sui prodotti amministrati (liquidità e titoli) hanno registrato flussi complessivi pari a 11,8 miliardi da gennaio, con un forte incremento rispetto ai 3,4 miliardi di un anno prima. Di questi ultimi, ben 10,5 miliardi sono andati sui conti correnti e sugli altri strumenti di liquidità, oltre il doppio rispetto ai 4,7 miliardi nei dieci mesi del 2015. «Ma anche dalla raccolta delle banche emerge il forte timore degli investitori, che rende per noi più difficile trasformare i capitali liquidi in prodotti di risparmio gestito», avverte Ghidoni. In questo contesto la scelta di Ubi Pramerica è quella di assecondare «le richieste del mercato che ci chiede pochi rischi e un flusso cedolare costante». Se negli ultimi due o tre anni i cavalli di battaglia della sgr sono stati i fondi bilanciati con cedola periodica (con l’avvertenza che la distribuzione può comportare il rimborso parziale del capitale), ora la tendenza sta cambiando e c’è un ritorno ai fondi a scadenza (simili nel funzionamento a un Btp) che erano molto in voga sul mercato italiano negli anni successivi alla crisi del 2008. Quest’ultimi sono comparti che hanno una finestra di collocamento e una durata prevista di quattro o cinque anni, alla fine della quale il capitale è solitamente garantito (poi si trasformano in monetari). E ora, come accennato, il gruppo sta pensando di tornare a questa categoria di fondi. «Stiamo studiando la possibilità di lanciare fondi che restituiscono a scadenza, ovvero dopo cinque o sei anni, il 100% del capitale investito più una cedola che, per via dei tassi bassi, sarà attorno all’1-1,2% annuo», annuncia Ghidoni.
Infine un cenno alla possibilità che la banca guidata da Victor Massiah rilevi delle quattro good bank (Banca Etruria , Banca Marche e Carichieti). «Si tratterebbe di una grossa opportunità per noi perché permetterebbe di aprirci a una rete distributiva nuova», dice Ghidoni, che prima di entrare in Ubi, nel 2005, per occuparsi dell’area organizzativa, è stato per cinque anni consulente in Bain, dove ha seguito il processo di fusione di alcune banche italiane, tra cui quello che ha portato alla creazione del nucleo dal quale nel 2007 è nato proprio il gruppo Ubi.
Oggi i fondi di Ubi Pramerica sono collocati dagli oltre 1.500 sportelli delle sette banche del gruppo, da Iwbank (online e tramite consulenti) e dai private banker e corporate banker di Ubi Banca . Negli Usa Pramerica è nota come Prudential, marchio che non può utlizzare al di fuori del mercato staunitense per evitare confusioni con l’omonima società inglese. (riproduzione riservata)
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