di Alessandro Carollo
È sicuramente un caso, ma l’uscita dalle Generali di Nikhil Srinivasan, ex chief investment officer del gruppo, l’uomo che aveva la supervisione su un portafoglio di investimenti di 466 miliardi di euro, è stata ufficializzata solo qualche giorno dopo la notizia che Abu Dhabi Capital, il superfondo dell’emirato, aveva posto fine a sei mesi di negoziazione con l’ex enfant prodige della finanza tedesca, Lars Windhorst, per una garanzia obbligatoria da 1 miliardo di euro e un’iniezione di capitale nella Sapinda Invest, la holding di investimenti di Windhorst. Milano Finanza aveva già segnalato lo scorso 6 febbraio la presenza di Generali tra gli investitori di Sapinda, gestito da un finanziere che, come ricorda Bloomberg, «prima dei suoi 30 anni aveva già costruito e poi dilapidato una fortuna e a 32 anni aveva già dovuto fronteggiare un’altra insolvenza». Windhorst, prima di trasferirsi a Londra, in Germania era considerato un golden boy della finanza, salvo poi inanellare il collasso di due sue società, una bancarotta personale e una condanna penale, poi sospesa. Nel comitato consultivo di Sapinda siedono figure di primo piano come Lord Mandelson, Roland Berger e Hubertus von Grünberg (ex presidente di Abb).

Complice la caduta dei prezzi del petrolio e delle materie prime, settori in cui Sapinda era pesantemente investita, le difficoltà nell’equilibrio finanziario della catena di società di Windhorst non hanno tardato a manifestarsi. Difficoltà che sono di tipo sia legale che finanziario: due suoi investitori della prima ora, Len Blavatnik (fondatore di Access Goup e noto anche per il suo investimento in Warner Music Group) e Silvio Scaglia (uno dei fondatori di Fastweb) lo hanno denunciato presso la corte di Londra in due cause separate, con le quali cercano di recuperare un totale di 86 milioni di euro. Il fondo di Scaglia, Pacific Capital, sostiene che Windhorst non ha mantenuto l’impegno a un riacquisto di bond sottoscritti dall’italiano per 26 milioni. Un primo giudizio alla corte londinese è stato favorevole a Scaglia.

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Fuori dal tribunale, i problemi delle società legate al finanziere tedesco sono relative alla cassa: Sapinda Invest era in ritardo di sei settimane nel pagamento degli interessi su 1 miliardo di euro di debito con scadenza in giugno; in novembre Sequa Petroleum NV (una società legata al gruppo e dedicata alle esplorazioni petrolifere in Kazakhstan) ha informato i suoi creditori che il pagamento degli interessi sul suo debito sarebbe stato rinviato in quanto non aveva ricevuto gli attesi finanziamenti da Sapinda Invest e da un’altra entità facente parte dello stesso gruppo. Da qui la richiesta di 200 milioni di euro di finanziamenti agli investitori già esposti in Sapinda, che non avranno altra scelta che concederlo, visto che l’alternativa sarebbe peggiore. In Sapinda, Windhorts aveva coinvolto investitori istituzionali del calibro, oltre che di Generali , di Fidelity, Blue Bay, Janus e Carmignac. Questi ultimi due si sono da tempo sfilati, il primo lasciando che il gestore responsabile degli investimenti fatti nella catena legata a Windhorst, Wahid Chammas, lasciasse la sede londinese della società per unirsi a Sapinda (esperienza durata solo per un mese), il secondo anche con un passaggio attraverso le autorità di controllo francesi, incuriosite dagli investimenti effettuati dall’ex responsabile degli investimenti azionari europei Muhammed Yesilhark, per conto del suo datore di lavoro. Yesilhark aveva sottoscritto nel settembre 2014 titoli emessi dalla Sequa Petroleum. Poche settimane dopo l’acquisto dei titoli, Carmignac li rivendette a Windhorst. Secondo quanto riportato lo scorso aprile dal Financial Times, in seguito si scoprì che alla stessa data dell’acquisto della posizione in Sequa, Yesilhark e un suo collega avevano partecipato a un investimento, questa volta con disponibilità personali, suggerito da Anoa Capital, broker anch’esso legato a Sapinda. Si trattava di un’obbligazione convertibile ancora non quotata emessa da Cloud Hotel Investments, un emittente con un potenziale di rialzo al momento del collocamento in borsa. Windhorst ha dichiarato che i due gestori non avevano ottenuto nessuna preferenza nell’assegnazione dei titoli e Carmignac aveva precisato all’FT la piena compliance alle regole e al codice etico. Due mesi dopo, l’uscita del gestore.

Ora anche le Generali hanno deciso di cambiare cavallo: Srinivasan, che era arrivato alle Generali da Allianz , poco dopo l’investitura di Mario Greco alla guida del Leone, va via e al suo posto Philippe Donnet ha scelto Timothy Fabrice Ryan, attualmente consulente indipendente, ma fino al 2015 presidente e chief executive di AllianceBernstein, una società del gruppo Axa ed ex chief investment officer di Axa Japan dal 2003 al 2007, anni in cui era ceo della società lo stesso Donnet. Una analisi al vetriolo pubblicata dalla società Sanford Bernstein al momento dell’uscita di Greco aveva criticato aspramente la scelta di Generali di incrementare il rischio presente nei portafogli titoli, non adeguatamente informando il mercato sul patrimonio e sui rischi di credito assunti. L’analista di Bernstein (Milano Finanza del 6 febbraio) aveva condotto una stima sugli effetti del maggiore rischio assunto dall’assicuratore sul lato finanza, sostenendo che non si tratta più di se, ma solo di quando questo maggiore rischio mostrerà i suoi effetti materiali sul conto economico del gruppo, mettendo anche in dubbio la sostenibilità del dividendo promesso. (riproduzione riservata)
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