di Andrea Di Biase

 

Scoppia un caso, con tanto di polemica tra la Banca d’Italia e la Commissione Europea, sul mancato utilizzo del Fondo Interbancario di Tutela dei Depositi nell’operazione di salvataggio di Banca Etruria , Banca Marche, Carife e CariChieti, in cui sono andati in fumo i risparmi di migliaia di risparmiatori che avevano sottoscritto obbligazioni subordinate dei quattro istituti salvati.

Ieri, nel corso di un’audizione alla Camera, il capo della Vigilanza di Palazzo Koch Carmelo Barbagallo ha respinto le accuse di scarsa tutela dei piccolo obbligazionisti rivolte a Bankitalia, indicando nella Commissione di Bruxelles il principale responsabile. «Se fosse intervenuto il Fondo di Tutela dei Depositi noi non avremmo avuto gli effetti che adesso vediamo sui portatori di obbligazioni subordinate e sugli azionisti, perché il Fondo si sarebbe fatto carico, con un apporto dell’ordine di 2 miliardi, dell’intero intervento», ha affermato Barbagallo, precisando che con l’intervento del Fondo la crisi sarebbe stata superata «senza alcun sacrificio per i creditori delle quattro banche». Se ciò non è stato possibile, ha aggiunto, è stato per «la preclusione manifestata da uffici della Commissione Europea, da noi non condivisa, che hanno ritenuto di assimilare ad aiuti di Stato gli interventi del Fondo di Tutela dei Depositi».
Data l’impossibilità di ricorrere a questo usuale meccanismo di salvataggio e a fronte del rapido degenerare delle situazioni aziendali, ha fatto notare Barbagallo, «l’Unità di Risoluzione della Banca d’Italia ha attivato, in tempi assai contenuti, i poteri introdotti dal nuovo quadro normativo europeo in materia di gestione delle crisi».

Una ricostruzione, quella del dirigente di Bankitalia, cui ha replicato a stretto giro di posta la stessa Commissione Europea, presieduta da Jean-Claude Juncker, negando con forza la ricostruzione di Barbagallo. Da Bruxelles è stato prima fatto trapelare un documento da cui emergerebbe che nei momenti precedenti la decisione erano state prese in considerazione tre strade alternative per salvare le quattro banche italiane: una con fondi privati, una usando il Fondo di Tutela dei Depositi (che comunque avrebbe fatto scattare la risoluzione e le perdite per gli obbligazionisti subordinati) e la terza (poi percorsa) usando il fondo salva-banche. In seguito un portavoce della Commissione Ue è stato ancora più esplicito, attribuendo la responsabilità delle soluzione scelta alle autorità italiane. «La decisione di far scattare la risoluzione delle quattro banche usando il fondo nazionale di risoluzione», ha spiegato il portavoce della Ue, «è stata presa dalle autorità italiane. Se vengono usati fondi di Stato per sostenere le banche, indipendentemente da dove essi provengano, si applicano le norme Ue, compresa la condivisione degli oneri».

Ma nell’audizione alla Camera Barbagallo ha fornito ulteriori dettagli sull’impossibilità da parte dell’Italia di attivare il Fondo Interbancario. «Il sacrificio dei portatori di prestiti subordinati è supportata da una comunicazione dell’agosto 2013 della Commissione Ue alla Concorrenza». Per questo «non era possibile distinguere tra le varie tipologie di obbligazioni subordinate». Bankitalia ha inoltre respinto l’accusa di non aver vigilato a sufficienza sui quattro istituti in crisi. L’attività di monitoraggio «è stata continua, di intensità crescente al peggioramento della situazione aziendale e ha utilizzato l’intero spettro degli strumenti disponibili», ha spiegato Barbagallo. Gli amministratori però non sono stati ricettivi e alla fine le banche sono state commissariate. La via d’uscita ha penalizzato i risparmiatori ma, visti i paletti posti dall’Europa, l’eventuale alternativa sarebbe stata peggiore. Barbagallo ha ricordato che, se si fosse attivato interamente il cosiddetto bail-in, cioè il coinvolgimento anche di obbligazionisti più garantiti (senior) e depositanti sopra 100 mila euro, oltre alle azioni e ai titoli subordinati sarebbero stati toccati «i circa 12 miliardi di massa non protetta delle quattro banche, inclusi i 2,4 miliardi di euro di obbligazioni non subordinate».

Emergono intanto dettagli sugli emolumenti per gli amministratori delle quattro new bank nate sulle ceneri dei quattro istituti finiti in dissesto. Roberto Nicastro riceve un compenso (senza bonus o altre voci legate ai risultati) su base annua di 120 mila euro ciascuna per l’incarico al vertice di Banca Marche e di Banca Etruria  e di 80.000 euro l’una per le più piccole Carife e CariChieti (400 mila euro in tutto). Se al suo onorario si sommano quelli dell’amministratore delegato di ciascun istituto, degli altri consiglieri e dei componenti del collegio sindacale il costo per ognuna delle 4 banche risulta in media di 600 mila euro: 2,4 milioni in tutto. (riproduzione riservata)