Pagina a cura di Luigi Dell’Olio 

Più per carenza di alternative che per reale fiducia. A sentire i gestori, l’asset class più interessante del 2016 sarà ancora una volta l’azionario, con preferenza per i mercati sviluppati. Questo nonostante quotazioni che non possono più essere considerate a sconto rispetto alle medie storiche. Eppure, tra i bond che offrono ormai rendimenti minimi (e addirittura negativi sulle scadenze brevi) e le commodity che appaiono ancora fragili, non sembrano esservi molte alternative per impiegare l’enorme liquidità messa in circolo sui mercati finanziari dalle banche centrali.

L’Europa fa da sé. Secondo l’outlook di Unicredit, nel prossimo anno il pil dell’area euro dovrebbe crescere al ritmo dell’1,9%, grazie soprattutto alla spinta della domanda interna, che promette di compensare la debolezza dei mercati emergenti. «Un progresso non esaltante, ma comunque importante rispetto agli ultimi anni», spiega Marco Valli, chief economist della banca per l’Eurozona. In questo contesto anche l’Italia dovrebbe velocizzare il passo, salendo dell’1,4% (complice l’incentivo fiscale introdotto nella legge di Stabilità a vantaggio degli investimenti nei macchinari), mezzo punto in più rispetto all’anno che sta per concludersi. Questo scenario dovrebbe aiutare il calo della disoccupazione, fino a raggiungere l’11% nel 2017, un punto in meno rispetto a quest’anno.

Tornando all’Eurozona nel suo complesso, l’inflazione core (cioè al netto della componente energetica) è vista in crescita, ma a un ritmo contenuto, tanto che per gli esperti della banca italiana difficilmente si arriverà al 2% nei prossimi due anni.

A trainare l’economia mondiale saranno ancora gli Stati Uniti (crescita attesa del 2,6%), nonostante l’attesa di rialzi dei tassi da parte della Fed, inevitabile a fronte di un mercato del lavoro che si avvicina verso la piena occupazione (con relativa pressione sui prezzi). Per gli economisti di Unicredit, la stretta partirà già a dicembre e questo porterà a un ulteriore indebolimento dell’euro rispetto al dollaro, almeno nel breve termine.

Per il resto, gli esperti dell’istituto di Piazza Gae Aulenti si attendono una crescita del 3-3,5% nell’Europa centrale, con la recessione in Russia che si avvia verso la fine. La crescita in Cina continuerà a rallentare moderatamente, attestandosi intorno al 6,5%. Una view condivisa da S&P, secondo cui le misure messe in atto dalle autorità di Pechino per governare il rallentamento della crescita stanno funzionando, ma restano sul terreno i problemi strutturali, come la limitata apertura al mercato e la fragilità del sistema bancario. Anche l’agenzia di rating vede uno scenario macro di ripresa nel Vecchio continente (in particolare in Italia e Francia), mentre tra gli emergenti vi è l’attesa di una ripresa in Russia e ancora sofferenza per il Brasile.

 

L’equity stacca tutti. Per Wahid Chammas, portfolio manager di Janus Capital, l’attuale situazione dell’economia internazionale spinge a puntare ancora sull’azionario europeo, «caratterizzato da titoli che presentano un rapporto tra prezzo e utili attesi inferiore agli Stati Uniti». Rispetto agli Usa, aggiunge l’esperto, i gruppi industriali del Vecchio continente hanno cominciato a ristrutturarsi in ritardo, ma proprio per questa ragione non hanno ancora raccolto a pieno i frutti del miglioramento prodotto. Chammas vede buone prospettive anche per i titoli bancari dell’Eurozona, che stanno ritorno alla profittabilità grazie alla ripresa sul fronte macro e alle azioni realizzate negli ultimi anni per recuperare efficienza.

Condivide a grandi linee questo ragionamento Alessandro Picchioni, presidente di WoodPecker Capital, secondo il quale l’equity merita di coprire fino al 50% del portafoglio, complice la carenza di opportunità nelle altre classi d’investimento, con preferenza per l’Europa rispetto agli Stati Uniti e ai Paesi emergenti. Del resto, con Wall Street che resta su valori elevati rispetto agli utili visti nel terzo trimestre e diversi mercati in via di sviluppo che arrancano, lo scenario fuori dal Vecchio continente sembra presentare più incognite che opportunità.

Per Mark Phelps, cio concentrated global growth di AB-AllianceBernstein, il principale tema d’investimento per i mesi a venire sarà la selezione. «Occorre puntare su società di elevata qualità che riflettono realmente lo stile growth e cercare società sottovalutate, in grado di ristrutturarsi per creare valore».

Dunque, l’esperto non rinnega le opportunità dell’equity, ma mette in allerta dai facili entusiasmi. Anche perché su un punto sembra esservi condivisione tra gli addetti ai lavori: la volatilità che ha iniziato a caratterizzare i mercati finanziari dall’inizio dell’estate è destinata a durare. Una variabile con la quale occorrerà convivere a lungo alla luce dei tanti focolai di tensione in giro per il mondo.

La capacità di selezione sarà fondamentale nei mesi a venire anche secondo Alex Tedder, head of global equities di Schroders: «È importante focalizzarsi sulle società che, nonostante il contesto incerto, possono fornire una crescita degli utili inaspettata», sottolinea. In particolare, la sua attenzione è rivolta alla Tecnologia, che «sta evolvendo a un ritmo mai visto prima d’ora grazie ai nuovi modelli di business che fanno leva su una maggiore connettività, specialmente nel settore del mobile».

Charles Kantor, portfolio manager del fondo Us Long Short Equity di Neuberger Berman, si dice invece positivo su Wall Street: «Le nostre attese verso l’azionario statunitense sono positive, anche se riteniamo necessaria una maggiore selettività». A livello societario, ricorda l’esperto, continuano i flussi di cassa positivi e i bilanci sono solidi. «Inoltre ci sono buoni margini di profitto e la redditività sul capitale investito pare interessante».

© Riproduzione riservata