di Roberta Castellarin e Paola Valentini

 

Sono state 593 milioni le ricette emesse nel 2012, con un aumento di 21 milioni negli ultimi quattro anni. Ciò significa che lo scorso anno ogni cittadino ha ritirato in farmacia circa 18 confezioni di medicinali a carico del Servizio sanitario nazionale. È boom anche per le attività cliniche e di laboratorio (1,365 miliardi di prestazioni in un anno, circa 27 pro capite). È quanto emerge dal Compendio Sanità in cifre 2012 di Federanziani.

Complessivamente, si legge nel documento, la spesa farmaceutica totale tra privata e pubblica è stata pari, sempre nel 2012, a 25,5 miliardi di euro. Il 76% viene rimborsato ai cittadini dal Ssn. Ma intanto è in aumento la compartecipazione alla spesa (cioè il ticket), che nel 2012 è stata pari a 1,4 miliardi di euro registrando, rispetto al 2011, un aumento del 5,2%, pari a 23,7 euro per cittadino. Negli ultimi tre anni il ticket pro-capite è salito del 43% dai 16,6 euro del 2010. Nel frattempo la spesa sanitaria totale è salita del 48% in 10 anni, passando da 76 a 112,3 miliardi di euro del 2012. Il progressivo e inesorabile invecchiamento delle generazioni del baby boom, ovvero quelle nate nel decennio a cavallo tra gli anni 50 e 60, comporterà una sempre maggiore pressione sul sistema sanitario pubblico. E lo Stato da solo non ce la farà a sostenere tutte le spese, spiegano gli attuari, gli esperti nella stima dei rischi assicurativi. Ma una cosa lo Stato può fare subito. Darsi una migliore organizzazione per contenere la spesa sanitaria senza pesare sulle tasche dei cittadini con tasse più alte o tagli alle prestazioni. Come avverte Federanziani: «Continuano gli sprechi sui trapianti: ci sono 50 centri dislocati in tutta Italia e con pochi interventi ciascuno. E in più gli sprechi per voci di costo come lavanderia, pulizia, materiali di guardaroba, prodotti alimentari e mensa, utenze telefoniche, riscaldamento e premi assicurativi, ogni anno fanno registrare in media inefficienze pari al 35% del loro importo, oltre 4 miliardi. E infine i contribuenti pagano anche il ripianamento del Fondo Sanitario Regionale, con l’aggravante delle addizionali regionali se gli amministratori non sanno tenere testa al loro compito».

Di fronte a questi dati, Roberto Messina, presidente di Federanziani, sottolinea che: «La federazione della terza età è convinta che i nemici principali dei cittadini in ambito sanitario siano esclusivamente gli sprechi e le inefficienze di Regioni che sembrano fare di tutto per danneggiare il diritto alle cure, l’accesso ai farmaci, ai medical device, alle migliori terapie per i pazienti».

Ma intervenire sugli sprechi non basta perché l’invecchiamento della popolazione, abbinato alla bassa natalità, farà esplodere la spesa sanitaria e per assistenza, se non si interviene per contenerla come è stato fatto per le spese previdenziali con le riforme delle pensioni varate negli ultimi 20 anni e culminate con la legge Fornero di fine 2011. Proprio l’esempio degli interventi varati sul fronte della previdenza pubblica possono servire per prendere gli opportuni provvedimenti in campo sanitario, aggiustando però il tiro. Infatti con le modifiche varate a inizio 2012 dall’ex ministro del Welfare l’Italia, come afferma l’Ocse, sarà uno dei Paesi che manderà più tardi in pensione i suoi lavoratori. L’intervento contribuirà a migliorare i problemi di sostenibilità del sistema previdenziale. «L’Italia aveva nel 2009 il sistema pensionistico più costoso di tutti i Paesi dell’Ocse. Con la riforma adottata nel dicembre 2011, l’Italia ha realizzato un passo importante per garantirne la sostenibilità finanziaria. L’aumento dell’età pensionabile sarà un fattore determinante per la riduzione della spesa pensionistica», ha spiegato di recente l’organizzazione parigina, che però avverte: resta il problema dell’importo degli assegni che le giovani generazioni percepiranno una volta in pensione. Per questi lavoratori infatti vale il sistema contributivo e non il più generoso metodo retributivo che ha assicurato ai loro padri pensioni pari anche all’80% dell’ultimo stipendio. Per questo l’Ocse ha sottolineato che «l’adeguatezza dei redditi pensionistici potrà essere un problema per le future schiere di pensionati. In primo luogo, con il metodo contributivo, le prestazioni pensionistiche sono legate strettamente ai contributi. I lavoratori dalle carriere intermittenti, lavori precari e mal retribuiti saranno più vulnerabili al rischio di povertà durante la vecchiaia. In secondo luogo, oltre alle prestazioni sociali (assegno sociale) erogate secondo il livello di reddito, per le persone di 65 anni e per quelle più anziane l’Italia non prevede alcuna pensione sociale che attenui il rischio di povertà per gli anziani».

 

Senza dimenticare che in Italia «il pilastro pensionistico privato non è ancora ben sviluppato», ha sottolineato ancora l’Ocse. I fondi pensione coprono infatti solo un quarto dei lavoratori interessati, con un’incidenza molto bassa tra i giovani, che sono quelli che avrebbero più bisogno di costruire una pensione privata da abbinare a quella pubblica.

Anche in campo sanitario ridurre i servizi sarebbe un passo indietro, che eliminerebbe tutto quanto di buono è stato fatto finora in tema di sanità e assistenza. Il discorso va quindi allargato al welfare complessivo del cittadino, che oggi è messo in discussione. «Le ristrettezze delle risorse pubbliche e l’esigenza di non tagliare le prestazioni sociali evidenziano un problema di sostenibilità che riguarda l’intero sistema di welfare italiano, sia nella sua componente previdenziale sia in quella assistenziale. L’opportunità di aprire una riflessione sul modello di welfare in funzione del mutato quadro economico e sociale», ha affermato Sergio Corbello, presidente di Assoprevidenza, «è argomento ampiamente dibattuto. È assolutamente urgente definire il ruolo che gli istituti della previdenza e dell’assistenza complementare, fondi pensione e casse di assistenza, potranno sostenere nell’auspicata costruzione di un sistema di welfare integrato», ha aggiunto Corbello. La soluzione che si propone è quella di un fondo unico per previdenza e assistenza, anche se per ora non è una strada che si può percorrere facilmente. «Bisogna valorizzare i diversi soggetti che possono concorrere alla riorganizzazione del sistema. Vanno introdotte le necessarie modifiche al quadro normativo di riferimento per renderlo più duttile e favorevole allo sviluppo di questa nuova frontiera del welfare, che passa per l’aggregazione in un oggetto giuridico unico delle prestazioni pensionistiche complementari, di quelle integrative sanitarie e delle coperture dei rischi legati all’inabilità, attraverso un’offerta diffusa di coperture di long term care», dice il presidente di Assoprevidenza. Che per approfondire la materia e arrivare a definire una proposta organica di welfare integrato ha costituito un gruppo di lavoro, partecipato dal Fondo Pensioni del Personale del Gruppo Bnl/Bnp ParibasItalia e dallo Studio attuariale Orrù & Associati. «Il primo focus del gruppo di lavoro», aggiunge Corbello, «ha riguardato l’individuazione di soluzioni praticabili all’interno di un fondo pensione, per l’erogazione di una prestazione in rendita temporanea, in caso di riduzione o assenza di reddito lavorativo in prossimità della maturazione del diritto alla prestazione pensionistica di base». In quest’ambito rientrano i cosiddetti esodati, ovvero i lavoratori rimasti senza stipendio e senza pensione dopo la riforma Fornero del 2011.

E il Fondo Pensioni del Gruppo Bnl/Bnp Paribas Italia sta facendo da apripista per trovare nuove soluzioni nel welfare. «A seguito della riforma Fornero ci siamo chiesti se la previdenza complementare, oltre che integrare l’importo della pensione base, non potesse anche intervenire per sopperire ai fabbisogni di chi dovesse o volesse lasciare o ridurre il lavoro prima di avere raggiunto la nuova soglia di età erogando anticipatamente la rendita maturata. Gli approfondimenti attuariali dello studio Orrù su un campione di iscritti hanno confermato la realizzabilità dell’idea. In una più ampia prospettiva», dice Gianfranco Verzaro, presidente del Fondo Pensioni Bnl/Bnp Paribas Italia, «il nostro fondo pensioni, ferme restando le specifiche autonomie e responsabilità di ciascuno, può assumere un ruolo di catalizzatore delle varie iniziative di welfare aziendale». (riproduzione riservata)