di Giuseppe Di Vittorio

 

Un errore sul gettito di oltre l’80% (160 milioni di euro a fronte di previsioni per 1 miliardo) e una fuga dei capitali dalle azioni verso i mercati non regolamentati altrettanto consistente (-85%); un quarto degli scambi di Piazza Affari andato in fumo; danni sulle entrate da Irap, Ires e capital gain; chiusura di alcune piccole società d’investimento; duro colpo alla reputazione dei mercati finanziari; ridimensionamento degli investimenti in tecnologia da parte dei broker.

Sono gli effetti prodotti in Italia in soli dieci mesi dalla Tobin Tax. Eppure tutto ciò evidentemente non è bastato a far desistere alcuni parlamentari dal chiedere ora addirittura un inasprimento della tassa sulle transazioni finanziarie. Un drappello di deputati di diverso colore politico (Sel, Nuovo Centro Destra, Pd, Lega Nord) ha presentato un emendamento alla legge di Stabilità (al vaglio in questi giorni) per introdurre la stretta. Il primo firmatario è Luigi Bobba (Pd), ex vicepresidente di Banca Etica fino al 2004, un intermediario che sarà esentato dalla Tobin quando un regolamento attuativo chiarirà che cosa si intende per etico in finanza. Regista e sponsor dell’operazione è invece Francesco Boccia, anch’egli del Pd, che ha speso il suo ruolo di presidente della commissione Bilancio per sostenere la causa.

 

La proposta contenuta nel nuovo emendamento sulla Tobin Tax punta a tassazione dello 0,01% su tutte le transazioni che hanno per oggetto strumenti finanziari, compresi quote del risparmio gestito, i pronti contro termine eccetera. Fanno parte della base imponibile anche azioni, obbligazioni e derivati. L’aliquota sale invece allo 0,10% quando gli stessi strumenti, ad eccezione dei derivati, vengono scambiati sui mercati regolamentati. Sono invece esclusi soltanto i titoli di Stato e i derivati per le operazioni di copertura (ma su questi ultimi ci sarà da vedersela con le obiezioni dell’Agenzia delle Entrate a proposito dell’abuso di diritto).

 

Lo schema risulta fortemente peggiorato rispetto all’attuale regime fiscale sulle transazioni finanziarie, che, come visto, già ha provocato molti danni senza portare nelle casse dello Stato un gettito di qualche rilievo. La base imponibile è estesa a prodotti del risparmio che già scontano numerose altre imposte (bolli conto corrente, bolli titoli e capital gain). Tutte imposte che negli ultimi anni sono già rincarate. Tassati sono anche nuovi strumenti come i minibond, prodotti che spesso per le aziende italiane rappresentano una delle poche alternative al finanziamento bancario tradizionale. deputati che hanno presentato l’emendamento per l’ulteriore stretta della Tobin Tax potrebbero obiettare che si tratta di un’aliquota molto bassa, lo 0,01%, ossia 1 euro su 10.000. Ma un’eventuale obiezione di questo tipo striderebbe con i numeri del fenomeno. Perché le transazioni finanziarie sono avvengono a migliaia tutti i giorni; perché adeguare i sistemi informativi dei broker ha costi ingenti; perché anche quando l’imposta è irrisoria le incombenze burocratiche sono enormi (liquidazione, modelli, dichiarazioni e versamenti). A fronte di tutti questi impegni ci sono inoltre rischi di errori e sanzioni. Risultato: gli investitori e gli intermediari esteri sono sempre più tentati dallo smettere di operare in Italia.

 

Va inoltre tenuto presente che introdurre un’imposta ha anche un notevole impatto psicologico notevole. Senza contare che è stata introdotta la tassazione anche sulle operazioni intraday e nella proposta è previsto il balzello a carico sia del venditore sia del compratore. Sempre con riferimento alla base imponibile, infine, l’imposta amplierebbe la propria sfera di azione su tutti i prodotti, anche quelli esteri. Qui il profilo di legittimità è dubbio, visto che, come rilevato dall’ufficio legale del Consiglio Europeo, si tratterebbe di una violazione dei Trattati Ue. Inoltre, base imponibile a parte, per i derivati si può parlare di una vera e propria batosta: l’aumento dell’imposta sul Fib, il principale derivato quotato a Piazza Affari, è del 490%.

 

Perché accade tutto ciò? Forse perché fin dall’introduzione della Tobin Tax in Italia, nel marzo scorso, i legislatori hanno sempre avuto come punto di riferimento il valore della transazione scambiata sul mercato e non l’utile, il reddito o, meglio, il conto economico dell’operatore che effettua la compravendita. È come se si tassasse una qualunque attività economica in base al volume della produzione e all’utile o al reddito generato. È insomma come se si volesse tassare un costruttore di autoveicoli in base al numero di vetture prodotte, un contadino in base alla quantità di grano coltivato, un avvocato in base al numero di processi cui prende parte. Se la tassa diventa così alta e sganciata dalla redditività, induce il soggetto passivo a cessare l’attività o a decidere di esercitarla altrove. Per i derivati la tassa di fatto raddoppierebbe i costi-base per operare. Quale attività economica è sostenibile con un aumento dei costi del 100% da un giorno all’altro? Per i minibond la tassa equivarrebbe alla commissione di una delle banche che accompagna l’impresa alla quotazione dell’emissione. E a pesare sono pure gli oneri indiretti. La carenza di liquidità rende più difficile la ricerca di una controparte; un venditore se si vuole comprare, un compratore se si vuole vendere.

Ecco perché contro l’inasprimento della Tobin Tax si sono levate le proteste del mondo economico e finanziario. Perché stavolta davvero si rischia di colpire a morte l’operatività di Piazza Affari, a tutto vantaggio degli altri principali mercati finanziari internazionali, europei e non. Che, fortuna loro, non sono di continuo minacciati dai loro legislatori. (riproduzione riservata)