Pagina a cura di Luciano De Angelis  

 

La contabilizzazione di operazioni inesistenti, poste in essere dagli amministratori per occultare lo stato di dissesto della società, non sempre possono costituire fonte di specifica responsabilità per i sindaci. In particolare, nessuna responsabilità potrà essere ascritta all’organo di controllo quando, alla data della verbalizzazione del collegio erano ancora aperti i termini per la registrazione delle «false» fatturazioni e quindi i sindaci, non potevano valutare le incongrue documentazioni fiscali che, evidentemente gli amministratori non avevano loro consentito di visionare.

È quanto si legge in una recente sentenza di Cassazione (la numero 24362 del 29 ottobre 2013), che ha ribaltato le decisioni dei giudici di primo e secondo grado che avevano addebitato anche ai sindaci parte del danno cagionato dalla società ai creditori a seguito del fallimento della stessa.

 

Il fatto. I giudici di prime cure, con decisione confermata dalla Corte d’appello imputavano ai sindaci il danno causato alla società ed ai creditori sociali per gli effetti dei provvedimenti previsti dall’art. 2447 c.c. relativo alla perdita del capitale. Tali effetti erano stati, tuttavia, dissimulati attraverso la registrazione in contabilità di una fattura (attinente prestazioni inesistenti) attraverso cui veniva occultata la perdita del capitale. La falsità di tale operazione (risultante da fattura emessa il 29 dicembre) emergeva soprattutto in relazione all’operazione di storno di detta fattura realizzata con una nota di accredito nell’aprile dell’anno successivo.

 

La decisione della Cassazione. La Cassazione evidenzia, a riguardo, che in via di principio per l’affermazione della responsabilità dei sindaci non occorre individuare specifici comportamenti dei medesimi, ma sia sufficiente non aver rilevato una così macroscopica violazione e non aver in alcun modo reagito, ponendo in essere ogni atto necessario all’assolvimento dell’incarico con diligenza, correttezza e buona fede anche segnalando all’assemblea le irregolarità della gestione riscontrate o denunziando i fatti al pm nelle situazioni di cui all’art. 2409 c.c. Ciò, in quanto, può ragionevolmente presumersi che il ricorso a suddetti rimedi o anche solo la minaccia di farlo, per l’ipotesi di mancato ravvedimento operoso da parte degli amministratori, avrebbe potuto essere idoneo ad evitare o quanto meno a ridurre le conseguenze dannose della condotta gestoria.

Purtuttavia è indispensabile per l’affermazione della responsabilità dell’organo di controllo comprovare uno specifico «Nesso causale» tra il comportamento illegittimo dello stesso e le conseguenze che da esso siano derivate a società e creditori. In altri termini, che una opportuna segnalazione della situazione agli organi competenti sarebbe stata idonea a evitare le disastrose conseguenze degli illeciti compiuti dagli amministratori. Ma nella situazione di specie, il controllo dei sindaci avvenuto il 7 febbraio non ha potuto evidenziare la fattura «anomala» emessa il 29 dicembre dell’anno prima, ma non ancora registrata entro la data della verifica (scadendo i termini di registrazione a fine febbraio), né potevano, sempre alla data del 7 febbraio, visualizzare la nota di credito della fattura stessa emessa nel mese di aprile seguente. Il fatto che il registro Iva (visualizzato il 7 febbraio) risultava aggiornato al 30/12 dell’anno precedente poteva, anzi, denotare proprio l’intento degli amministratori di nascondere ai sindaci l’operazione anomala. Per questa via (ferma restando l’addebitabilità ai sindaci di altre situazioni, da cui il rinvio della sentenza impugnata per il nuovo esame) non è legittimo, quindi, secondo la Cassazione imputare ai sindaci specifiche responsabilità nel caso di specie.

 

Orientamenti 2013: sempre più stringenti i controlli richiesti ai sindaci. Al di là della sentenza dianzi citata, il controllo richiesto ai sindaci sull’operato degli amministratori risulta sempre più esigente ed orientato non alla forma ma verifica della sostanza della gestione degli amministratori.

È ciò che emerge dalla lettura di due sentenze ravvicinate della suprema Corte emanate nel corso del 2013 (si tratta rispettivamente della sentenza 14 ottobre 2013 n. 23223 e 27 maggio 2013 n. 13081).

In entrambe le sentenze viene, infatti, riscontrata una specifica responsabilità per i componenti dell’organo di controllo, colpevoli, secondo i giudici di legittimità, di non avere efficacemente controllato la corretta amministrazione della società, utilizzando i poteri di reazione propri dell’organo di controllo a fronte di anomalie gestionali facilmente riscontrabili.

Nelle sentenze in commento, fra l’altro, ai sindaci viene mosso il rilievo di non aver riscontrato in bilancio fatture fittizie e assolutamente incongrue in relazione all’attività aziendale, non rilevando quindi poste di bilancio palesemente ingiustificate.

Anche attraverso tali comportamenti omissivi, secondo i giudici del Palazzaccio, i sindaci avrebbero ritardato la dichiarazione di fallimento della società e quindi agli stessi possono essere addebitati i relativi danni, in solido con i relativi organi amministrativi.

Nello stesso senso, si ricorda anche una recente pronuncia del Tribunale di Milano (sentenza del 16 ottobre 2013) secondo cui nel caso di iscrizione nell’attivo di bilancio, tra le immobilizzazioni immateriali, di costi pluriennali per ragioni palesemente illegittime, alla luce della norma e dei principi contabili, il silenzio mantenuto in proposito dai sindaci implica la violazione del dovere di diligenza. Detta condotta omissiva contribuisce causalmente alla redazione del bilancio illegittimo in quanto il parere sul bilancio, con rilievo sui criteri di redazione avrebbe, invece, potuto sollecitare gli amministratori alla correttezza di gestione.

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