di Oliviero Lenci e Silvio Olivero*   

Guardando agli anni passati, è difficile individuarne uno che, come quello che inizierà fra pochi giorni, sia nato sotto il segno di un consenso quasi unanime circa gli eventi che caratterizzeranno il suo svolgimento.

Innanzitutto è cosa certa che il 2014 sarà l’anno del graduale azzeramento, da parte della Fed, del Quantitative easing (acquisti di titoli di Stato e mutui cartolarizzati): tale lento ritorno alla normalità, l’ormai celebre tapering, è stato annunciato in questi giorni dalla banca centrale Usa e inizierà a gennaio.

Vi è poi un accordo quasi unanime sul fatto che, parallelamente al rientro delle misure espansive da parte della Fed, la Bce adotterà nuovi strumenti di politica monetaria non convenzionale. Più che sull’eventualità che questi ultimi vengano utilizzati, le opinioni degli analisti divergono sulla loro natura: alcuni pensano a ulteriori Ltro (aste a lunga scadenza e a bassi tassi con cui viene finanziato il sistema bancario), altri a un vero e proprio Quantitative easing in stile americano. Il 2014 sarà inoltre l’anno del ritorno alla crescita per i Paesi della periferia europea, cui dovrebbero affiancarsi robuste performance sia delle economie avanzate, sia di quelle emergenti.

Dalla grande convergenza di opinioni che caratterizza le attese sullo scenario macroeconomico deriva una compatta visione circa l’andamento dei mercati azionari nel 2014, sintetizzabile in due parole: crescita e volatilità.

La corsa dei mercati azionari sarà conseguenza della crescita economica e delle quotazioni di partenza delle azioni, che solo in casi eccezionali sono già coerenti con una fase di espansione ciclica globale, mentre in altri sono ancora assai depresse, come si può constatare osservando la tabella in pagina. La volatilità invece è attesa poiché, orfani del Qe americano che li ha sostenuti nei mesi passati, i mercati risulteranno più fragili.

Il buon senso suggerisce dunque di adeguarsi all’opinione espressa dalla larga maggioranza degli analisti: ciò non esclude tuttavia l’interessante esercizio di individuare eventi che potrebbero incrinare tale scenario di base. Fatta salva la volatilità, che ogni investitore avvezzo al rischio è disposto a tollerare se ben remunerata, che cosa potrebbe capovolgere le previsioni circa il rialzo dei prezzi delle azioni? Ovviamente una crescita economica inferiore alle attese metterebbe in crisi i mercati azionari, soprattutto quelli i cui multipli sono già molto elevati, ma non è questo il rischio principale cui è esposto lo scenario di consenso. Sia i mercati azionari sia quelli obbligazionari, infatti, scontano la prospettiva che la crisi europea, per quanto non ancora del tutto superata, sia destinata a risolversi con certezza: ne è garanzia il «whatever it takes» pronunciato da Draghi l’anno scorso.

Se però per qualche motivo questa fiducia incondizionata nella tenuta dell’euro dovesse venire meno, lo scenario di base su cui poggiano le previsioni per il 2014 si scioglierebbe come neve al sole e il panico tornerebbe a dominare i mercati finanziari. Le elezioni europee della prossima primavera, il cui esito potrebbe sancire una paradossale maggioranza euroscettica all’interno del parlamento di Strasburgo, potrebbero incrinare alcune certezze. D’altro canto, le stesse elezioni potrebbero rappresentare uno stimolo per la politica europea a compiere uno slancio in avanti verso forme di condivisione del debito che, anche se subordinate a pesanti condizioni, sembrano finalmente entrate nel novero del possibile, anche agli occhi della cancelliera Angela Merkel. È quasi superfluo osservare che, se si dovesse realizzare un’apertura in tal senso, i mercati azionari europei, soprattutto i periferici, potrebbero largamente sovraperformare, mentre, in caso di un riacutizzarsi della crisi dell’euro, si determinerebbe una situazione diametralmente opposta.

È fondamentale, dunque, che la ritrovata fiducia dei mercati nella tenuta dell’euro non venga meno: fatta salva questa condizione, vi sono ottime possibilità di assistere a un 2014 di crescita per i mercati azionari internazionali.

 

Per quanto attiene il mercato obbligazionario, in generale, la ripresa economica favorirà gli emittenti corporate e i governativi di bassa qualità, in virtù del restringimento degli spread che ne dovrebbe derivare. Un ragionamento a parte va fatto per gli investimenti in euro che, considerato il lungo periodo di bassi tassi e bassa inflazione preannunciato da Draghi, dovrebbero avere per oggetto titoli di Stato a lungo termine, emessi sia dai Paesi periferici, sia da quelli core: il decennale tedesco, infatti, dopo un lungo periodo di tassi reali negativi, esprime oggi un rendimento a scadenza accettabile. Un buon compromesso, adatto a investitori dotati di una certa propensione al rischio, potrebbe essere quello di un portafoglio composto per il 50% da Btp decennali e per il 50% da Bund di pari scadenza. Un’allocazione di tal genere potrebbe dimostrarsi adeguata anche qualora si riacutizzasse la crisi in Europa. Diverso l’approccio da seguire per gli investimenti obbligazionari in valute extra-euro: in linea di massima ci si dovrà orientare verso scadenze brevi o verso emissioni a tasso variabile.

Per quanto attiene infine i tassi di cambio, l’euro dovrebbe finalmente deprezzarsi contro il dollaro, tenuto conto delle condizioni monetarie che negli Usa dovrebbero progressivamente divenire meno accomodanti, a fronte delle attese di ulteriori politiche espansive da parte della Bce. Difficile, invece, immaginare un significativo rafforzamento dello yen contro la moneta unica, poiché la politica monetaria giapponese continuerà a essere fortemente espansiva ancora per un lungo periodo di tempo. (riproduzione riservata)

*presidente

e responsabile ufficio studi

Cellino e Associati sim