Gestioni separate e fondi pensione possono contare su un fisco più leggero, perché non sono soggetti all’imposta di bollo sul deposito titoli che, con la nuova finanziaria, sarà alzata dallo 0,1 allo 0,2%. Ma hanno anche un nemico comune che è l’inflazione. Peraltro il legame tra pensione e inflazione è sempre più delicato, anche in considerazione delle recenti novità normative in tema di previdenza obbligatoria. Giova rammentare come fino al 2011 gli aumenti pensionistici erano in misura piena per gli importi fino a tre volte il trattamento minimo vigente per le pensioni dei lavoratori dipendenti e autonomi, ridotti al 90% per gli importi compresi tra tre e cinque volte l’importo minimo, mentre per quelli superiori l’adeguamento era parziale, al 75% del valore dell’inflazione.

Vista la situazione finanziaria del 2011 e la crisi di liquidità che attanagliava le casse pubbliche, la rivalutazione fu riconosciuta in misura piena solo alle rendite di importo complessivo fino a tre volte il trattamento minimo. Per le pensioni di importo superiore a questo limite e inferiore a tale limite incrementato della quota di rivalutazione automatica spettante, l’aumento di rivalutazione fu comunque attribuito fino a concorrenza del limite maggiorato. Con la nuova legge di stabilità, ferma restando la rivalutazione delle pensioni fino a tre volte l’importo minimo, l’adeguamento sarà riconosciuto nella misura del 90% per le pensioni di importo compreso tra tre e quattro volte il trattamento minimo, mentre sarà del 75% per quelle di importo superiore a quattro volte e pari o inferiore a cinque volte il predetto trattamento minimo. Gli assegni di importo superiore subiranno una rivalutazione del 50% dell’inflazione. Infine, per il solo 2014, la perequazione non sarà riconosciuta alle fasce di importo superiori a sei volte il trattamento minimo Inps.

Ma ecco qual è la percezione del lavoratore attingendo all’Indagine annuale del risparmio appena pubblicata da Intesa Sanpaolo e Centro Einaudi. La valutazione complessivamente negativa della riforma pensionistica espressa nel 2012 viene in sostanza confermata quest’anno. Dei quattro giudizi più condivisi dagli intervistati sulla riforma Monti-Fornero, rilievo particolare assume proprio l’opinione del risparmiatore secondo cui non era giusto non adeguare le pensioni al costo della vita (18,4%). Con riferimento poi alle nuove generazioni, con il meccanismo di calcolo contributivo il quantum pensionistico in maturazione che si percepirà dipenderà dalla somma dei contributi versati rivalutata in base alla media del pil degli ultimi cinque anni. Il montante virtuale così accumulato viene convertito in rendita con l’applicazione degli specifici coefficienti di trasformazione determinati dalla normativa e rivisti ogni tre anni fino al 2019 e ogni due anni dal 2019 in avanti.

Quali sono allora le variabili che vanno a incidere sulla pensione contributiva? In primo luogo l’ammontare complessivo della contribuzione versata, funzione a sua volta sia della durata del periodo lavorativo sia della professione esercitata. Sensibile rilevanza ha poi il profilo demografico dell’Italia in considerazione degli effetti attuariali sui coefficienti di trasformazione. La prolungata recessione economica sta impattando poi anche sul calcolo delle pensioni future, per cui l’andamento del pil, che si pone proprio l’obiettivo di rivalutare il potere d’acquisto dei contributi, diventa la spada di Damocle che aleggia sulle prospettive sia di avere un sistema stabilmente in equilibrio (in considerazione del rapporto spesa pensioni/pil) sia di percepire una pensione adeguata.

La paura dell’inflazione non può lasciare insensibili poi gli aderenti alle forme previdenziali integrative per conferire potere reale e non meramente nominale ai rendimenti finanziari. Diventa allora di fondamentale importanza considerare il rischio svalutazione del proprio portafoglio previdenziale. L’obiettivo di protezione va distinto dei due momenti dell’accumulazione previdenziale (gestione finanziaria) da quello del decumulo (erogazione della rendita). Durante la fase di accumulazione finanziaria (che coincide con la vita lavorativa) il rischio inflattivo va affrontato in una dinamica di diversificazione più complessiva, tesa a favorire una crescita graduale e costante del portafoglio previdenziale immunizzandolo dal paniere di rischi che incombe. Qualche fondo pensione prevede come meccanismo di garanzia proprio l’indicizzazione all’inflazione (Fon.Te e Previmoda sono tra i fondi negoziali che hanno un comparto garantito legato all’inflazione europea).

Spostandosi sul versante rendite, le diverse tipologie previste negli schemi dei fondi pensione sono del tipo rivalutabile. Al di là dell’importo erogato in forma periodica, il montante previdenziale accumulato residuo continua a essere investito come premio unico in un fondo a gestione separata di tipo assicurativo che investe prevalentemente in titoli di Stato e obbligazioni. Il rendimento generato, con la clausola di salvaguardia di un tasso tecnico/minimo garantito, viene retrocesso al risparmiatore (e quindi alla rendita) salvaguardandone quindi di fatto il potere d’acquisto. (riproduzione riservata)