di Andrea Di Biase

 

Il patto di sindacato di Mediobanca, da poco sceso al 30%, le cui regole interne sono attualmente in fase di revisione da parte dei grandi soci nell’ambito di una riforma complessiva della governance della banca d’affari, potrebbe di nuovo aumentare il suo peso nei prossimi mesi.

Il finanziere bretone Vincent Bolloré, che dopo l’uscita dal sindacato di Groupama, è rimasto l’unico componente del gruppo C con una quota del 6%, ha annunciato che, se ci fosse l’accordo di tutti i soci, sarebbe pronto a salire all’8% di Mediobanca, come era nei suoi progetti originari. Ma non è tutto. L’ex vicepresidente delle Generali, che nei prossimi mesi assumerà la guida del colosso francese dei mediaVivendi, ha anche fatto sapere che per integrare il gruppo C, quello degli azionisti internazionali di Piazzetta Cuccia, e mantenerne la quota all’11%, come previsto dal patto attualmente in vigore, «abbiamo trovato un gruppo internazionale che vuole venire con noi per lavorare tutti insieme».

Bolloré, che salendo dal 6 all’8% (il finanziere può crescere fino al 9,9% senza chiedere l’autorizzazione alla Banca d’Italia), arriverebbe a un passo dall’8,7% detenuto dal primo socio Unicredit, non ha però voluto svelare l’identità del potenziale investitore né la partecipazione che intenderebbe rilevare (in base alle regole attuali del patto potrebbe essere al massimo del 3%). Il finanziere bretone ha tuttavia precisato che il nome del nuovo socio sarà svelato «nell’ultima settimana di dicembre», dato che la scadenza fissata dal patto di sindacato è il 31 dicembre 2013. Ma quali effetti potrebbe avere la mossa di Bolloré sugli equilibri nell’azionariato della principale banca d’affari italiana, che è tuttora il primo socio delle Generali? E quali sarebbero gli effetti sulla nuova prossima governance dell’istituto, che dovrebbe prevedere tra l’altro il superamento della divisione del sindacato in tre gruppi e uno snellimento del cda? Per il momento negli ambienti finanziari milanesi non si registrano segnali di insofferenza. Anzi, dalle parti di Piazza Cordusio giudicherebbero come un segnale positivo per Mediobanca il rafforzamento di Bolloré e l’eventuale ingresso di un nuovo investitore internazionale. L’accesa dialettica che in passato aveva caratterizzato i rapporti tra i soci esteri, allora vicini alle posizioni di Cesare Geronzi, e Unicredit, più sensibile alle aspirazioni di autonomia del management guidato da Alberto Nagel, sembra aver lasciato spazio a un maggiore unità di intenti. D’altra parte è interesse di tutti mettere l’alta dirigenza della banca in condizione di centrare gli obiettivi del piano presentato lo scorso giugno, in modo tale da poter beneficiare dei possibili riflessi positivi sul titolo. Allo stesso tempo, non essendoci all’orizzonte segnali di consolidamento internazionale nel settore assicurativo europeo, l’aumento di peso di Bolloré nel capitale di Mediobanca non sarebbe ritenuto, come invece nel 2002-2003, una minaccia all’italianità delle Generali. Allora, a fronte del rastrellamento di azioni Mediobanca da parte del finanziere francese, le banche azioniste di Piazzetta Cuccia (Capitalia e Unicredit), altri istituti italiani (Mps e Intesa) e le fondazioni diedero l’assalto alle Generali. Il confronto si concluse con le dimissioni di Vincenzo Maranghi da Mediobanca e il lungo armistizio nel salotto buono, terminato nel 2011 con l’uscita di Geronzi dalle Generali. (riproduzione riservata)