Pagina a cura di Dario Ferrara  

 

Non si può negare la pensione all’avvocato solo perché il professionista non ha versato alla Cassa forense tutti i contributi, magari in epoche ormai lontane: nessuna norma della previdenza di categoria, infatti, prevede l’annullamento delle annualità in cui il versamento è stato inferiore al dovuto. E l’ente previdenziale dei legali non può invocare la sospensione della prescrizione gettando la colpa addosso alle lungaggini del Fisco: se infatti le dichiarazioni dell’iscritto sono sospette, l’ente ben può attivarsi presso gli uffici finanziari per controllare la veridicità dei dati trasmessi. Lo stabilisce la Cassazione con la sentenza 26962/13, pubblicata il 2 dicembre dalla sezione lavoro della Cassazione.

 

Automatismi esclusi

Bocciato il ricorso della Cassa forense. C’è una lacuna nelle norme che regolano la professione legale: manca una disposizione che in caso di omissione contributiva parziale faccia scattare l’annullamento di quanto versato e dell’intera annualità contributiva. E l’effetto – per ora insormontabile – del vuoto normativo è che gli anni che non risultano coperti da contribuzione integrale concorrono ugualmente a formare l’anzianità contributiva e devono dunque essere inseriti nel calcolo dell’assegno, prendendo come base il reddito sul quale è stato effettivamente pagato il contributo. È vero, la legge parla di «effettiva» contribuzione, ma la norma non può essere interpretata nel senso che essa debba essere integrale, pena la nullità: l’aggettivo sta invece a significare che la pensione è commisurata alla base della contribuzione effettivamente versata, escludendo ogni automatismo delle prestazioni in assenza di contribuzione.

 

Base ridimensionata

Niente annullamento, insomma, anche se il versamento di una contribuzione inferiore al dovuto «influisce» sicuramente sulla misura della pensione: l’inadempimento, se riferito agli anni utili per la base pensionabile, abbassa la media del reddito professionale su cui si determina l’assegno. Si tratta di controversie sempre più frequenti dopo la riforma di cui alla legge 335/95, che ha ridotto la prescrizione a cinque anni e escluso la possibilità di versare i contributi prescritti.

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