di Angelo De Mattia

C’è un Giudice a Milano. Per la seconda volta la Corte di Appello di Milano (la terza Sezione penale) ha riconosciuto la piena innocenza di Antonio Fazio nella tentata scalata di Unipol alla Banca nazionale del lavoro e ha dichiarato, pur essendo il reato prescritto, che esso non sussiste e dunque ha assolto l’ex governatore della Banca d’Italia con formula piena al termine di uno scrupoloso vaglio da parte di una Corte che ha dimostrato indipendenza e rigore. Con Fazio sono stati assolti anche coloro con i quali, secondo un’accusa infondata e illogica, egli avrebbe concorso moralmente nel reato di aggiotaggio (gli ex vertici di Unipol Giovanni Consorte e Ivano Sacchetti l’ad Carlo Cimbri, gli immobiliaristi Danilo Coppola, Stefano Ricucci e Giuseppe Statuto, l’ex eurodeputato del Pdl Vito Bonsignore, Emilio Gnutti di Hopa, il banchiere Bruno Leoni e il costruttore GaetanoCaltagirone oltre ai fratelli Ettore e Tiberio Lonati), reato spazzato via dai giudici della Corte d’Appello nella maniera più netta. Le dure critiche, sotto i più disparati profili, alla sentenza di primo grado da parte della difesa dell’ex governatore – gli avvocati Franco Coppi e Roberto Borgogno – le serrate argomentazioni tecnico-giuridiche e fattuali da loro svolte hanno ancora una volta fatto luce sulla condotta ineccepibile di un servitore dello Stato qual è sempre stato Fazio, che si è difeso nel processo e solo nel processo e ha manifestato puntualmente rispetto nei confronti dell’autorità giudiziaria, nella piena fiducia che la verità si sarebbe imposta, così come è accaduto. Si avvicina il tempo in cui ripercorrere la storia dell’ultimo ventennio e, in particolare, del governatorato di Antonio Fazio, con il contributo decisivo da lui dato alla riorganizzazione e ristrutturazione bancaria, all’abbattimento dell’inflazione, alla politica monetaria, all’indipendenza della Banca d’Italia, allo sviluppo dell’analisi economica e istituzionale: un apporto fondamentale per il Paese. Ma la memoria storica dovrà ripercorrere anche gli avvenimenti che, come quello oggetto della pronuncia della Corte milanese, si sono verificati più recentemente. E molte presunte tesi di improvvisati Torquemada fuori dalle aule giudiziarie o di diversi che non possono certo dirsi «vergin di servo encomio e di codardo oltraggio» saranno abbattute. Resta, accanto alla grande soddisfazione per il riconoscimento della condotta di un galantuomo, l’amarezza che per arrivare a ristabilire la verità ci sono voluti otto anni e due pronunce della Corte milanese. E c’è sempre da chiedersi chi mai ripagherà una persona che deve così a lungo lottare per fare constatare la sua correttezza. Tuttavia è fondamentale, e per ora assorbe ogni altra considerazione, che il ristabilimento dell’assoluta innocenza sia alla fine intervenuto. (riproduzione riservata)