di Emerick De Narda     

Dopo un lungo dibattito in commissione Bilancio della Camera ieri sera l’emendamento che punta a introdurre un inasprimento della Tobin Tax, la tassa sulle transazioni finanziarie, è stato nuovamente accantonato. Visto il contrasto tra i rappresentanti della Camera e l’esecutivo, si è accolta dunque la richiesta del primo firmatario Bobba di prendere altro tempo per arrivare a un testo condiviso.

L’orientamento del governo Letta (soprattutto del ministero dell’Economia guidato da Saccomanni) è per un ritiro dell’emendamento. L’intenzione infatti è quella di non ripetere i deludenti risultati portati a casa dal governo Monti con l’introduzione della prima versione della Tobin all’italiana. Secondo il viceministro all’Economia Stefano Fassina, «è condivisibile al 100% nell’obiettivo» ma, avverte, porta «al risultato opposto, perchè fa danni all’industria finanziaria nazionale e al bilancio dello Stato» in termini di perdita del gettito. Secondo Fassina la modifica rappresenterebbe «una fuga in avanti» che metterebbe «l’Italia in una posizione negativa a Bruxelles». Da qui la richiesta dell’esecutivo di ritirare la proposta di modifica, con l’impegno «a tornarci su». L’emendamento, va ricordato, punta a estendere la Tobin Tax a tutte le tipologie di transazioni finanziarie ma abbassando l’aliquota dallo 0,12% attuale (0,1% dal 2014) allo 0,01%, compresi i derivati, che non pagherebbero più una somma fissa (0,1% sui derivati dei mercati non regolamentati)

Rispetto alle previsioni dei tecnici, l’attuale versione della Tobin dopo dieci mesi di applicazione ha creato buco di 800 milioni di euro per mancato gettito. L’imposta ha anche provocato perdite di entrate su altre imposte (Irap, Ires) e soprattutto un crollo delle transazioni sui titoli italiani scambiati sui mercati regolamentati e Otc. La piazza finanziaria italiana ha perso ogni mese, dall’introduzione della Tobin, un volume d’affari pari a 17,5 miliardi di euro (210 miliardi l’anno), rappresentato da oltre 1,5 milioni di transazioni al mese (18 milioni su base annua). In termini di giorni lavorativi si traduce nella perdita di 36 giornate di lavoro l’anno, che su una media di 21 giornate di borsa aperta al mese, comporta una perdita annuale di un mese e mezzo di lavoro per l’industria finanziaria italiana.

Questi dati non hanno tuttavia evitato che alcuni deputati e senatori ritornassero sull’argomento con un tentativo di inasprimento su più voci. Il ragionamento è stato questo: la tassa sulle transazioni finanziaria è stata finora inefficiente e distorsiva perché ha esentato il 90% dei volumi di contrattazioni. L’assunto è tuttavia sbagliato in origine, spiegano gli operatori finanziari, in quanto la finanza globale consente agli operatori di spostare semplicemente la attività su altre piazze finanziarie internazionali. (riproduzione riservata)