di Guido Salerno Aletta

L’Italia sta subendo un altro attacco dall’esterno, concentrico: banche, assicurazioni e governo sono tutti sotto tiro. Troppo concentrati sulle vicende politiche interne, dalla legge di stabilità al pagamento dell’Imu, dalla decadenza di Silvio Berlusconi dal seggio senatoriale alle candidature alla segreteria del Pd, in Italia si rischia di perdere di vista il quadro di riferimento europeo che si va formando sulla base del Patto di coalizione stipulato tra Cdu-Csu ed Spd, che consentirà alla cancelliera Angela Merkel di proseguire nella sua attività di governo.

L’accordo compendia l’insieme delle misure che ci verranno imposte, chiare nel merito e nel metodo. Dopo il Fiscal Compact sta arrivando una nuova ondata di misure Made in Germany.

Manca ancora un presidio adeguato rispetto a quanto si decide a livello europeo. La presenza italiana è ancora fin troppo accondiscendente: ci si deve battere anche con uscite pubbliche dirompenti. Non basta contestare anche animatamente le proposte che si discutono nelle sale insonorizzate di Bruxelles e ai piani alti della Eurotower: anche ad alzare la voce e a battere i pugni sul tavolo, già fuori della porta non ci sente nessuno. In primo luogo, sono state accettate con eccessiva leggerezza le nuove linee guida, approvate nel corso dell’estate dalla Commissione, sugli aiuti di Stato al sistema bancario: prova ne è che il Monte dei Paschi di Siena si trova stretto nella morsa temporale del rimborso dei Monti bond e dell’aumento di capitale, con il risultato di penalizzare già in modo pesantissimo la Fondazione conferente. Fra la difficoltà di mantenere il valore delle quote in portafoglio, visto l’aumento rilevante di capitale che è stato concordato con l’Ue, e quella di venderne una parte per fronteggiare i debiti, è evidente che i nuovi azionisti entreranno a condizioni tali da poter dettare legge a loro piacimento. È solo un assaggio del sistema del bail-in, appena inaugurato per mettere in difficoltà gli investitori russi che avevano depositato i propri fondi nelle banche di Cipro: nel caso di dissesto, pagano nell’ordine gli azionisti, gli obbligazionisti e i depositanti.

Insomma, non saranno più gli Stati e i cittadini a dover mettere mano al portafoglio. Non è casuale che il bail-in per le banche sia un punto fondamentale dell’accordo di coalizione raggiunto in Germania: mentre tutte le banche, tedesche e non, dopo la crisi del 2008 sono state sostenute dalle finanze pubbliche, adesso si proclama all’universo mondo che la musica cambia. Proprio adesso, naturalmente, che le banche pubbliche tedesche sono fuori dalla buriana e che quelle spagnole hanno ricevuto un bel sussidio da Madrid per rimborsare i debiti internazionali, consentendo al sistema finanziario tedesco di ridurre i propri investimenti di portafoglio in Spagna, passati dai 268 miliardi di dollari del 2007 a meno di 152 miliardi a fine 2012, lasciando i debiti al governo spagnolo. Chi investirà nel Monte dei Paschi di Siena si ritroverà a far da padrone in una banca che completamente risanata: nulla di questo è accaduto finora nel resto della Unione europea, dove i vecchi azionisti non sono stati mai davvero spossessati, come nelle Landesbanke salvate con i soldi del governo federale, in cui i politici continuano a governare.

Eccessiva arrendevolezza c’è stata anche nei confronti del preannunciato shock test sugli effetti che potrebbero essere provocati dai debiti sovrani detenuti dalle banche, misura che si accompagna alla richiesta avanzata dal governatore della Bundesbank, Jens Weidman, di penalizzare la detenzione di titoli pubblici da parte delle banche. Ci sarebbe un privilegio da eliminare, visto che attualmente non sono richiesti accantonamenti di capitale, essendo considerati un impiego a rischio zero. Sono prospettive penalizzanti, di cui abbiamo fatto esperienza. Accadde già, a seguito della improvvida decisione dell’Eba, che nel settembre del 2011 impose un buffer di liquidità aggiuntivo per compensare le perdite potenziali sui titoli di stato, valutati a mark-to-market.

 

La vicenda greca fece da traino: le nostre banche furono penalizzate, mentre si favorirono quelle francesi e tedesche, che a quel fine potevano addirittura rivalutare il portafoglio dei rispettivi debiti pubblici, per via di uno spread sul mercato inferiore agli interessi previsti dalle sottoscrizioni.

La pericolosità della regola del bail-in per la risoluzione delle crisi bancarie, che l’Italia ha già malaccortamente subìto per gli aiuti di Stato, è evidente: sia in considerazione dell’assetto bancocentrico che caratterizza il nostro sistema finanziario, sia per le pesanti sofferenze sui crediti che la congiuntura negativa sta facendo continuamente crescere: a settembre hanno raggiunto il valore netto di 75,2 miliardi di euro, cifra pari al 5% del pil. La prova più evidente è rappresentata dalla costante riduzione della raccolta attraverso obbligazioni bancarie: adottare la regola del bail-in sarebbe fare harakiri. D’altra parte, se il contesto economico rimane ancora depresso, è inutile anche ripulire i bilanci dalle sofferenze vendendole a terzi: il problema si ripresenterebbe immutato. Mettendole in fila, le linee-guida della Commissione Europea sugli aiuti di Stato alle banche, gli stress test sui titoli pubblici nell’ambito dell’esercizio straordinario di sorveglianza unificata da parte della Bce e il bail-in per le banche in difficoltà, sono tre pozioni avvelenate, tutte Made in Germany.

Ma anche dall’altra sponda dell’Atlantico non si scherza: è ripreso il bombardamento delle agenzie di rating. Stavolta hanno preso di mira le assicurazioni italiane, ma sempre a causa dei titoli di Stato italiani che hanno in portafoglio. Dopo che Standard & Poor’s ha messo Generali in creditwatch negativo, anche Moody’s ha messo sotto monitoraggio l’intero settore vita delle assicurazioni italiane: hanno in carico ben 240 miliardi di euro di titoli del debito pubblico, 1l 12% del totale in circolazione. È ovvio che stavolta era il sistema assicurativo a dover essere messo sotto torchio: nei confronti delle banche, diversamente dal passato, c’è in corso l’esercizio di sorveglianza unificata da parte della Bce; sono in scadenza le operazioni Ltro che hanno dato luogo all’acquisto di titoli di Stato; il nuovo rifinanziamento di liquidità a più lungo termine, ipotizzato da parte della Bce, dovrebbe essere destinato solo al finanziamento delle imprese.

Le agenzie di rating hanno già spianato il fucile, pronte a sparare a febbraio, quando scadranno le Ltro e la Commissione Europea si esprimerà definitivamente sulla manovra di bilancio adottata dall’Italia: tra due mesi, potrebbe iniziare la gragnuola dei colpi.

 

C’è, infine, la Commissione Europea, che si è messa in testa di fare il bis del Fmi: tra il commissario Olli Rehn che si dichiara pubblicamente scettico sulla riduzione del debito pubblico e un Van Rampuy che viene a Roma, in visita di soppiatto. La Commissione copia gli indirizzi contenuti nel patto di maggioranza stipulato in Germania: sta cercando di mettere a punto un sistema di vincoli giuridici bilaterali, con cui obbligherebbe i singoli paesi ad adottare una serie di riforme. Se con l’adozione dell’euro abbiamo perso da anni la sovranità monetaria e con il Fiscal Compact abbiamo rinunciato pure alla sovranità sul bilancio, con gli Accordi bilaterali gli Stati europei saranno come colonie. Per una squallida copia del Sacro Romano Impero Germanico: sacro assai poco, per nulla romano, solo germanico. Tempi difficili per l’Italia se non si ribella unita a una Dieta che pretende fedeltà, mentre i pirati spadroneggiano: il nuovo medioevo. (riproduzione riservata)