Dal 21 dicembre 2012 tutti i contratti di assicurazione non potranno più personalizzare il premio assicurativo in base al fatto che l’assicurato sia uomo o donna. Prevedibile, dunque, un rincaro per le polizze sottoscritte dalle donne, per le quali i calcoli statistici attestano una minore sinistrosità, e il cui premio tenderà ad essere equiparato a quello degli uomini. Questo l’effetto della sentenza della Corte di giustizia europea, del 1° marzo 2011 (causa C-236/09), che ha stabilito il principio secondo il quale prendere in considerazione il sesso dell’assicurato quale fattore di rischio nei contratti di assicurazione costituisce una discriminazione. Risulta violata infatti la Direttiva europea 2004/113/Ce (recepita in Italia con il dlgs 196/2007), che, in attuazione del principio di parità di trattamento tra uomini e donne nell’accesso ai beni e ai servizi e alla loro fornitura, vieta infatti qualsiasi discriminazione fondata sul sesso. La direttiva conteneva, in realtà, una deroga proprio per i contratti assicurativi, lasciando agli stati europei di consentire differenze proporzionate nei premi e nelle prestazioni individuali nei casi in cui il fattore sesso sia determinante nella valutazione dei rischi, purché in base a pertinenti e accurati dati attuariali e statistici, regolarmente aggiornati e a disposizione del pubblico. In sostanza i premi potevano essere più bassi per le donne, la cui frequenza di sinistri è più basa degli uomini. D’altra parte la stessa della direttiva 2004/113 ha rilevato una prassi favorevole alle donne, che beneficiavano, nella fornitura dei servizi assicurativi, dell’utilizzo di fattori attuariali correlati al sesso. Lo stesso legislatore europeo ha previsto l’applicazione della regola dei premi e delle prestazioni unisex, in modo graduale con opportuni periodi transitori. Il problema rilevato dalla sentenza della Corte europea è che la normativa non garantiva un effettivo termine del periodo transitorio, lasciando mano libera agli stati. La direttiva europea stabiliva che gli stati europei membri potessero decidere anteriormente al 21 dicembre 2007 di consentire differenze proporzionate nei premi e nelle prestazioni individuali in base al sesso. La stessa direttiva si limitava a chiedere un riesame di questa decisione cinque anni dopo il 21 dicembre 2007. In effetti, nella direttiva 2004/113, per come formulata la disposizione sull’applicazione graduale, mancava una norma in merito alla durata di applicazione delle differenze nei premi e nelle prestazioni risultanti dall’utilizzo del sesso come fattore nel calcolo. Gli stati europei, che hanno fatto uso della facoltà di stabilire disparità sessuali nelle polizze prima del 21 dicembre 2007, sono stati di fatto autorizzati a consentire agli assicuratori di applicare tale trattamento ineguale senza limiti di tempo, salvo un blando obbligo di relazionare trascorso un quinquennio. La Direttiva, dunque, ha scritto la sentenza della corte europea, in quanto ha consentito di mantenere senza limiti di tempo una deroga alla regola dei premi e delle prestazioni unisex, è stata giudicata contraria alla realizzazione dell’obiettivo della parità di trattamento tra donne e uomini. Di conseguenza, la sentenza ha stabilito che la deroga prevista per i contratti assicurativi sia permessa e coerente con il principio della parità solo se a scadenza, e non a tempo potenzialmente indeterminato, e ha deciso che la disposizione della direttiva doveva essere considerata invalida alla scadenza di un adeguato periodo transitorio. Per regolarizzare la situazione la sentenza ha dichiarato che, nel settore dei servizi assicurativi, la deroga alla regola generale dei premi e delle prestazioni unisex, sia invalida con effetto alla data del 21 dicembre 2012. Quanto alle conseguenze sostanziali, la sentenza potrebbe non essere gradita alle donne in quanto potrebbe preludere a un rincaro delle polizze riservate alla clientela femminile, che tenderanno a raggiungere i prezzi applicati agli uomini.