Sibilla Di Palma

Milano L a recessione non risparmia l’industria nazionale dell’asset management, riaprendo così la prospettiva di un nuovo risiko finalizzato a creare aziende più robuste, e per questo capaci di muoversi con minori difficoltà in un contesto destinato a restare debole ancora a lungo. Uno scenario seguito con attenzione dagli istituti stranieri, interessati a cogliere le opportunità che dovessero aprirsi sul mercato italiano. I dati comunicati da Assogestioni relativamente al mese di ottobre indicano una raccolta netta negativa di 1,9 miliardi di euro (nonostante la crescita degli obbligazionari, evidentemente sostenuti dalla riduzione degli spread), che porta il passivo da inizio anno a 7,8 miliardi (-6,3 miliardi considerando i soli fondi azionari). Una cifra che compromette qualsiasi possibilità di ritorno al segno positivo nel bilancio di fine anno. Se il calo della raccolta è imputabile a una serie di ragioni — dall’incertezza che continua a caratterizzare i listini alla prospettiva di un 2013 ancora in recessione — i problemi dei fondi comuni non finiscono qui. Pesa anche la concorrenza dei cloni finanziari (Etf, Etc ed Etn), che nelle scorse settimane hanno superato quota 800 a Piazza Affari, beneficiando della caccia dei risparmiatori al risparmio sui costi di gestione. Tutti fattori che rendono probabile l’avvio a breve di un nuovo risiko nel settore, capace di coinvolgere anche i principali operatori. Banca Generali è diventata leader nazionale (con asset complessivi

per 310 miliardi di euro) in seguito a un’operazione di riorganizzazione societaria che ha portato Generali Investment Italy a cambiare nome in Generali Europe dopo aver incorporato i fondi in passato gestiti in Francia e Germania, dove sono state mantenute alcune strutture di vendita. Intanto, un tassello si prepara a uscire dal perimetro del colosso finanziario triestino: si tratta della controllata svizzera Bsi (patrimonio in gestione superiore a 81 miliardi di franchi), che il group ceo Mario Greco vorrebbe dismettere per fare cassa. Gli advisor JP Morgan e Mediobanca si sono già mossi in questa direzione, contattando una serie di operatori, italiani e internazionali: da Apax Partners, che in passato ha condotto con successo il management buyout di Azimut per poi quotarla in borsa, a Sator (con la sua Banca Profilo), dalla giapponese Sumitomo al fondo private Clessidra, protagonista della nascita di AM Holding, polo indipendente del risparmio gestito creato con Mps e Anima. Digerita questa operazione, di recente Am Holding ha siglato un’alleanza strategica con il Credito Valtellinese, che tra le altre cose prevede la cessione da parte di Creval dell’intera partecipazione in Aperta Sgr e in Lussemburgo Gestioni (LuxGest). E altre acquisizioni potrebbero seguire a breve, considerato che la società ha più volte dichiarato di voler lavorare con funzione aggregante tra gli operatori italiani: il nome più gettonato al momento come possibile preda è Ubi Pramerica sgr. Tra i pesi medi, da segnalare l’attivismo di Arca sgr, che punta a crescere come polo aggregante e già nei mesi scorsi si è mosso in questa direzione acquisendo 18 fondi di Vega Asset Management Sgr (controllata da Cr Ferrara, Cr di Cento, Cr di San Miniato e Banca Popolare di Bari) e due rami d’azienda della Popolare di Vicenza, riguardanti rispettivamente la gestione di 14 fondi comuni e la gestione dei portafogli istituzionali. Il mercato guarda con attenzione anche alle mosse degli altri due big della finanza italiana, Unicredit e Intesa SanPaolo, impegnati in un piano di rilancio dopo i crolli in Borsa conseguenti alla crisi internazionale e al rischio- Italia connesso ai massicci investimenti in titoli di Stato della Penisola. Periodicamente si torna a parlare della possibile fusione tra le rispettive società di risparmio gestito — Pioneer Investments ed Eurizon Capital — anche se finora l’ipotesi non ha avuto seguito. Bankitalia da sempre spinge per un’aggregazione nel settore che dia vita a un campione nazionale capace di gareggiare con i big europei, ma non è facile condurre in porto un’operazione di questo tipo evitando le sovrapposizioni e senza incorrere in contestazioni dell’Antitrust. Sta di fatto, comunque, che la prospettiva resta sul terreno in un mercato che ha visto contrarsi sensibilmente i margini, e che per questo premia chi è capace di generare massa critica. Questa prospettiva sembra aver convinto Deutsche Bank a rinunciare alla vendita di Dws per puntare invece a una crescita nel segmento dei fondi comuni: alcuni operatori italiani, messi in ginocchio dalla crisi più dei cugini europei, potrebbero in tal senso risultare prede ambite. Sembra invece voler uscire dal mercato Dexia, impegnata proprio in questi mesi in un duro piano di ristrutturazione, che ha portato la società franco-belga ad avviare delle trattative esclusive con Gcs Capital, società con sede a Hong Kong, per la vendita del ramo di asset management. Un’operazione che segue alla vendita da parte di Dexia della divisione retail in Belgio, delle attività in Lussemburgo e della sussidiaria turca. Mario Greco amm.re delegato Generali Il gruppo vorrebbe dismettere Bsi per fare cassa