Gli italiani spendono molto di tasca propria per fare un’ecografia, un’analisi del sangue o per comprare farmaci. Le stime parlano di circa 30 miliardi l’anno. Quasi un quarto dei 140 miliardi spesi dal sistema sanitario nazionale nello stesso periodo. Ma solo una minima parte di quella spesa privata, poco più del 10%, viene canalizzata attraverso casse e fondi sanitarie o polizze malattia, ovvero circa 3,5 miliardi. Insomma il secondo pilastro del sistema sanitario italiano, che dovrebbe affiancarsi al pubblico, per ora è poco più di una colonnina. Eppure attraverso i fondi e le polizze si otterrebbero indubbi benefici, in parte anche fiscali, considerando che una parte dei premi o dei contributi versati ai fondi è fiscalmente deducibile (circa 3.600 euro l’anno). Come mai il sistema non è partito? La colpa è anche un po’ delle compagnie di assicurazione che spesso guardano al settore sanitario con un pizzico di diffidenza. Si tratta infatti di un ramo nel quale, se non si fanno bene i conti, si rischia di registrare perdite e a volte sono le stesse società assicurative che preferiscono ridurre l’esposizione. Guardando l’ultimo bilancio di Generali Assicurazioni, compagnia leader in Italia nel settore per premi raccolti, emerge per esempio che il gruppo sta proseguendo le uscite programmate da polizze collettive malattia con andamento tecnico negativo vendute in Italia. Un’operazione simile ha coinvolto la Germania, dove è stato abbandonato uno specifico segmento tariffario del ramo a bassa redditività. Alle strategie delle assicurazioni si aggiunge poi la naturale diffidenza dei clienti, che in caso di bisogno preferiscono pagare la singola prestazione piuttosto che sottoscrivere un fondo o una polizza sanitaria, rimasta nei fatti un prodotto accessibile a chi ha maggiori disponibilità economiche. Anche perché i vantaggi fiscali legati all’adesione a questi strumenti in Italia sono minori rispetto ad altri Paesi, come Olanda o Germania, dove gli sconti sono più corposi. Come rilanciare il sistema? «Le compagnie devono prendere coscienza del fatto che in questo settore, se si fa solo gli assicuratori, si rischia di registrare perdite», spiega Andrea Pezzi, direttore generale di Unisalute, compagnia del gruppo Unipol dedicata alle coperture sanitarie per aziende e fondi. «Per riuscire a guadagnare bisogna entrare nella filiera. In pratica la compagnia deve operare un po’ come una centrale di acquisto, che consente al cliente di avere a disposizione servizi sanitari di qualità a prezzi più convenienti». Il modello di Unisalute, prima compagnia italiana del ramo per numero di clienti (4 milioni di assistiti) è anche questo. La società, per esempio, ha deciso di offrire un prodotto specifico per le spese odontoiatriche con il quale si ottiene uno sconto del 35% dai dentisti convenzionati. Una copertura di cui le assicurazioni hanno finora diffidato per paura di perdere. «Stiamo per mettere a disposizione dei privati altri prodotti specifici che tentano di risolvere i veri bisogni dei clienti, i quali rivolgendosi al pubblico avrebbero lunghi tempi di attesa. Come polizze dedicate alla fisioterapia e alla diagnostica», conclude Pezzi. (riproduzione riservata) Anna Messia