Sì al fallimento del promotore finanziario. Ai fini della qualifica di imprenditore è sufficiente che lo stesso eserciti l’attività sulla base di una propria autonoma organizzazione di mezzi e a proprio rischio. Considerato che gli altri elementi caratterizzanti l’attività di impresa già sono presenti, per definizione, nell’attività del promotore finanziario, la quale rientra, quando è svolta da un imprenditore, tra le attività ausiliarie previste dall’art. 2195, n. 5, c. c.

Rappresentando, dunque, un’ impresa commerciale con conseguente assoggettabilità, tra l’altro, al fallimento. Questo è il principio espresso dalla Corte di cassazione, sez. VI Civile, con ordinanza 18 dicembre 2012, n. 23384. Un promotore finanziario veniva dichiarato fallito dopo aver svolto in forma organizzata l’attività di intermediazione finanziaria e anche in maniera irregolare. L’avvenuta cessazione dell’attività non risultava dimostrata, così come l’esistenza di comunicazioni in materia ai creditori. La sentenza di primo grado veniva confermata dai giudici di appello e avverso tale pronuncia il fallito proponeva ricorso per cassazione che viene però rigettato. Gli ermellini ai fini della configurabilità dell’esercizio di un’impresa da parte del promotore finanziario (figura disciplinata prima dall’art. 5 della legge n. 1/1991, poi dall’art. 23 dlgs. n. 415/1996 e quindi dall’art. 31 dlgs. n. 58/1998) sottolineano l’irrilevanza del fatto che quest’ultimo agisca sulla base di un mandato con rappresentanza o senza rappresentanza. Lo stesso, affermano i giudici di Piazza Cavour, è definito, dalle disposizioni sopra richiamate, come colui che esercita professionalmente, in qualità di dipendente, agente o mandatario, l’attività di offerta fuori sede di servizi finanziari. Pertanto, affinché assuma la qualità di imprenditore è sufficiente che svolga la sua attività sulla base di una propria autonoma organizzazione di mezzi e a proprio rischio.

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