La crisi impoverisce le famiglie italiane, che restano però relativamente poco indebitate e fra le più ricche dei Paesi G7. E’ quanto emerge dal Supplemento al bollettino statistico della Banca d’Italia sulla Ricchezza delle famiglie italiane nel 2011, da cui emerge che il 10% delle famiglie possiede quasi la metà della ricchezza complessiva.
Alla fine del 2011 la ricchezza netta delle famiglie italiane era pari a circa 8.619 miliardi di euro, corrispondenti a poco più di 140 mila euro pro capite e 350 mila euro in media per famiglia. Le attività reali rappresentavano il 62,8% del totale, le attività finanziarie il 37,2%. Le passività finanziarie, pari a 900 miliardi di euro, rappresentavano il 9,5% delle attività.
La crisi aggredisce la ricchezza delle famiglie italiane: in termini reali, nel 2011 si registra un calo del 3,4%, mentre a prezzi correnti è diminuita dello 0,7%. La ricchezza è diminuita rispetto al 2007, anno di valore massimo in termini reali, di circa il 5,8%. Secondo stime preliminari, inoltre nel primo semestre del 2012 la ricchezza netta della famiglie italiane sarebbe ulteriormente diminuita, dello 0,5% in termini nominali rispetto alla fine dello scorso dicembre.
Ad aggravare la situazione è la disparità nella distribuzione della ricchezza. Banca d’Italia riporta statistiche secondo cui alla fine del 2010 la metà più povera delle famiglie italiane deteneva il 9,4% della ricchezza totale, mentre il 10% più ricco deteneva il 45,9% della ricchezza complessiva. “La distribuzione della ricchezza è caratterizzata da un elevato grado di concentrazione – spiega l’istituto di Via Nazionale – molte famiglie detengono livelli modesti o nulli di ricchezza; all’opposto, poche famiglie dispongono di una ricchezza elevata”. Risulta inoltre che il numero di famiglie con una ricchezza netta negativa, alla fine del 2010 pari al 2,8%, sia in lieve ma graduale crescita dal 2000.
Nel confronto internazionale, le famiglie italiane mostrano un’elevata ricchezza netta, pari, nel 2010, a 8 volte il reddito disponibile, contro l’8,2 del Regno Unito, l’8,1 della Francia, il 7,8 del Giappone, il 5,5 del Canada e il 5,3 degli Stati Uniti. Esse risultano inoltre relativamente poco indebitate, con un ammontare dei debiti pari al 71% del reddito disponibile (in Francia e in Germania è circa il 100%, negli Stati Uniti e in Giappone è del 125%, nel Canada del 150% e nel Regno Unito del 165%).
La crisi cambia anche gli investimenti delle famiglie italiane. A fine 2011 le attività finanziarie delle famiglie italiane ammontavano a oltre 3.500 miliardi di euro, il 3,4% in meno del 2010. Quasi il 42% era detenuto in obbligazioni private, titoli esteri, prestiti alle cooperative, azioni e altre partecipazioni e quote di fondi comuni di investimento; quasi il 31% in contante, depositi bancari e risparmio postale; il 5,2% in titoli pubblici italiani; il 19,2% in riserve tecniche di assicurazione, che rappresentano le somme accantonate dalle assicurazioni e dai fondi pensione per future prestazioni in favore delle famiglie.
Bankitalia registra una ricomposizione dei portafogli delle famiglie verso forme di investimento più liquide, quali il contante (+0,3 punti percentuali sul 2010), il risparmio postale (+0,4) e i conti correnti bancari (+0,5). Rispetto al 2010, la quota di ricchezza detenuta in titoli pubblici italiani e’ cresciuta di un punto percentuale, pari a oltre 30 miliardi di euro, tornando sui livelli del 2009, ma comunque decisamente inferiori a quella della seconda metà degli anni ’90, quando ammontava in media al 14%. La quota di ricchezza detenuta in azioni e partecipazioni (circa 500 miliardi, pari al 14%) si è ridotta dalla fine del 2010 di 3 punti percentuali, esclusivamente a causa della riduzione della quota di titoli italiani; nel 2000 ammontava a circa un quarto delle attività finanziarie totali. È inoltre lievemente diminuita la ricchezza detenuta dalle famiglie italiane in fondi comuni d’investimento (-0,4 punti). Le attività finanziarie detenute sull’estero dalle famiglie italiane erano di oltre 300 miliardi di euro a fine 2011, il 5% in meno rispetto alla fine del 2010.