di Giuseppe Di Vittorio  

 

Dal bollo sul conto titoli a quello sulle comunicazioni relative ai prodotti finanziari e senza nessun tetto massimo. La nuova denominazione dell’imposta sulle attività finanziarie è già un indice delle intenzioni del legislatore di andare a tassare quante più forme di risparmio mobiliare possibile. La rivisitazione è stata operata più volte con interventi che sono iniziati nell’estate del 2011 e conclusi con la legge di Stabilità 2012. Un’imposta che è diventata dunque omnicomprensiva e che lascia fuori dall’ambito applicativo pochi strumenti e prodotti. La base imponibile colpisce, infatti, tutte le attività finanziarie, intese come impiego della ricchezza con tre sole eccezioni: i fondi pensione, le polizze assicurative con finalità di copertura di rischi sanitari e i buoni fruttiferi postali sotto i 5 mila euro. E se esente potrebbe sembrare tutto ciò che è liquidità, come conti correnti e libretti di risparmio, al contrario questi ultimi strumenti sono colpiti da un’altra imposta fissa, quella del bollo sui conti correnti (si vede ItaliaOggi di ieri).

Un risparmiato illustre dalla scure fiscale è invece l’investimento in oro, rigorosamente, però, nella sua forma fisica in lingotti o monete.

La base imponibile risulta notevolmente allargata rispetto alle sue precedenti versione. Fino alla prima parte del 2011 operava un’imposta di bollo ma che valeva solo sulle attività finanziarie rappresentate da titoli (azioni, obbligazioni, titoli di stato ecc.). Nel 2012 per volere del governo Monti l’imposta è stata completamente rivisitata, e, per la prima volta, sono diventate oggetto di tassazione le quote di fondi comuni di investimento, le polizze assicurative, le gestioni patrimoniali e più in generale tutti i prodotti riconducibili al risparmio gestito. Dentro perfino, in modo molto esplicito, ci sono anche i conti depositi. La base imponibile viene calcolata tenendo conto dei valori di mercato delle singole attività finanziarie; in assenza ciò che conta è il valore nominale o quello rimborso. Solo se non si riuscisse a risalire a nessuno dei valori in questione ha rilevanza il costo di acquisto.

L’aliquota. Quanto alla tariffa, dal 2013, l’aliquota dell’imposta sui prodotti finanziari (il vecchio bollo sul conto titoli) partirà da un minimo di 34,20 euro per un portafoglio entro il valore di 22.800 euro. Oltre quella somma sarà pari allo 0,15% su base annuale senza tetto massimo. Nel 2012 il legislatore per attenuare gli effetti della prima applicazione aveva introdotto un tetto massimo pari 1.200 euro e un’aliquota dello 0,10%. Il minimo era sempre operativo. Il tetto massimo, per la verità, è tornato con l’approvazione della legge di stabilità nei giorni scorsi. Coinvolti però sono tutti i soggetti diversi dalle persone fisiche, quindi società e fondazioni. Loro dovranno pagare dal 2013 per gli anni a venire fino a un massimo di 4.500 euro.

Elusione bloccata. L’introduzione di una tassa sulle attività finanziarie detenute all’estero analoga come architettura all’imposta di bollo sui prodotti finanziari di fatto impedisce qualsiasi forma elusiva del tributo. L’apertura di conti titoli all’estero è quindi praticamente inutile per sviare l’imposta. Le norme antielusive non finiscono qui, ce ne sarebbe un’altra ancora più stringente che tende a colpire coloro che azzerano i conti alla fine del periodi di rendicontazione. Prima di indicare il dispositivo è utile ricordare che l’obbligo impositivo sorge con l’invio dell’estratto conto relativo alla movimentazione e alla valorizzazione delle attività finanziarie. L’intermediario finanziario è tenuto all’invio al cliente con qualsiasi forma anche mail almeno una volta l’anno. Il decreto del ministero dell’economia sulla materie di accompagnamento al decreto che istituiva l’imposta ha stabilito che se il contribuente alla fine del periodo di rendicontazione si ritrova senza attività finanziarie non è detto che non paghi l’imposta. Il sostituto di imposta (banca, sim, compagnia assicurativa) dovrà verificare che il conto non è stato movimentato, che il dossier era vuoto all’inizio alla fine e durante tutto il periodo di rendicontazione. Cosi non rileva il saldo a zero alla fine dell’anno, del trimestre o del mese se durante il periodo precedente si è venduto attività finanziarie.

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