Unificazione immediata per gli uomini, e progressiva per le donne. Anche sul versante dei requisiti per il pensionamento la riforma contenuta nel Dl 201/2011 avvia la macchina dell’allineamento graduale delle regole riservate ai lavoratori autonomi a quelle che disciplinano l’uscita delle altre categorie.

Con il repentino addio al sistema delle «quote» (somma di età e anzianità contributiva) e alle finestre «mobili», scompare gran parte delle penalizzazioni che allungavano il tempo di lavoro degli autonomi rispetto a quello dei dipendenti. Il vecchio sistema, come si ricorderà, nel caso del lavoro autonomo chiedeva per il pensionamento un’unità in più nel calcolo della quota (la quota era 97 invece di 96, perché l’età minima era di 61 anni anziché di 60 come per i dipendenti), e la finestra mobile creava fra la maturazione dei requisiti e il pensionamento effettivo un intervallo di 18 mesi, invece dei 12 mesi previsti per i lavoratori dipendenti.

Per gli uomini, in sostanza, l’allineamento (al rialzo) con i dipendenti è completo già a partire dal 2012; dopo quella data, si potrà andare in pensione «anticipata» con 42 anni e tre mesi di contributi oppure occorrerà aspettare i 66 anni di età per il pensionamento «ordinario»: il tutto, naturalmente, entra poi nei meccanismi di adeguamento automatico in relazione alla dinamica della speranza di vita, che con la riforma Fornero coinvolge tutti i parametri previdenziali senza distinzioni.

Più articolata l’evoluzione delle regole per le lavoratrici autonome, a cui si riferisce il «pensionometro» pubblicato qui sotto. Per loro, infatti, l’avvicinamento all’età ordinaria di 66 anni, che dal 2018 si applicherà a uomini e donne a prescindere dal tipo di lavoro svolto, è progressivo, e mantiene per un lungo tratto una penalizzazione rispetto agli scalini previsti per le colleghe dipendenti di imprese private (per le lavoratrici del pubblico impiego, i requisiti sono già allineati a quelli degli uomini a partire dal 1° gennaio prossimo).

Nel 2012, l’età di vecchiaia per le autonome si attesta a 63 anni e 6 mesi, anziché a 62 come per le dipendenti private; nel 2014 si passa a 64 anni e 6 mesi (un anno in più rispetto alle dipendenti), nel 2016 si arriva a 65 e 6 mesi (6 mesi in più rispetto alle dipendenti) e dal 2018 ci si attesta a 66 anni, come tutte le altre categorie.

Come si vede, il meccanismo è pensato per ridurre progressivamente la penalizzazione rispetto al settore privato, che all’inizio si allarga a un anno e mezzo e poi si riduce fino all’allineamento totale dal 2018. La penalizzazione, in generale, interessa chi ha iniziato la propria regolare storia contributiva a 24 anni, perché le donne entrate al lavoro prima possono sfruttare il canale anticipato che porta alla pensione con 41 anni e 3 mesi di versamenti.

gianni.trovati@ilsole24ore.com