di Andrea di Biase

Massimo Pini, il manager ex-craxiano che negli ultimi anni è stato uno dei più stretti collaboratori, nonché ascoltato consigliere, di Salvatore Ligresti, ha provato in tutti i modi a resistere al pressing di Mediobanca e Unicredit per procedere a un consistente rafforzamento patrimoniale di Fondiaria-Sai e allo stesso tempo a un profondo ricambio negli assetti proprietari della compagnia assicurativa.

Si dice addirittura che sia stato proprio Pini, contrario fino all’ultimo anche alla cessione del 33% di Igli-Impregilo al gruppo Gavio, a dettare alla famiglia quella linea di intransigenza di fronte alle richieste delle due banche creditrici del gruppo, che ha condotto al braccio di ferro delle ultime settimane per evitare l’aumento di capitale o almeno per renderlo meno doloroso per i Ligresti. Alla fine però anche il vicepresidente di FonSai, e rappresentante del gruppo nel patto di sindacato diRcs, di fronte al profondo stato di dissesto dei conti della compagnia, il cui margine di solvibilità è sceso addirittura al 90% (sotto la soglia minima regolamentare del 100%) e il cui preconsuntivo 2011 evidenzia una perdita di 925 milioni, ha dovuto piegarsi alla volontà di rinnovamento di Alberto Nagel e Federico Ghizzoni.

Così, dopo un acceso dibattito in cui proprio Pini ha cercato una strenua difesa delle prerogative dell’azionista di maggioranza, il cda di FonSai, riunitorsi venerdì 23 dicembre, ha deliberato all’unanimità di procedere in tempi strettisimi a un aumento di capitale fino a un massimo di 750 milioni.

La taglia finale della ricapitalizzazione, che sarà stabilita dal cda a gennaio, dipenderà dalla percorribilità delle altre operazioni di capital management (come le dismissioni di attivi non strategici), anche se il cda ha stabilito che l’aumento non potrà essere inferiore ai 600 milioni. L’operazione, mal digerita dai Ligresti, consentirà di riportare ampiamente sopra la soglia di sicurezza del 120% il margine di solvibilità della compagnia ma comporterà la diluizione della partecipazione di Premafin (che al momento non ha le risorse disponibili per seguire l’aumento) dall’attuale 35% al 10% circa.

La diluizione equivale alla capitolazione totale della famiglia Ligresti, che oltre a perdere il controllo della compagnia rischia di vedere ulteriormente compromessa la situazione patrimoniale di Premafin e persino la propria avventura imprenditoriale. Se è infatti vero che la holding presieduta da Giulia Ligresti, sulla quale grava un debito di 322,5 milioni (congelato fino al 2012 ma con i covenant di fatto saltati), proprio venerdì 23 dicembre ha fatto cassa per 25,7 milioni cedendo a Hines Italia la partecipazione nell’iniziativa immobiliare Porta Nuova Varesine, è altrettanto vero che, senza più il controllo di FonSai, difficilmente potrà giustificare l’attuale valutazione dei titoli della compagnia nel proprio bilancio civilistico.

A fine 2010, prima dunque dell’aumento di capitale da 450 milioni del luglio scorso, il 37% di Fondiaria-Sai detenuto direttamente da Premafin (un altro 4% fa capo alla controllata Finadin) era iscritto nel bilancio civilistico per 853,8 milioni, pari a un valore unitario del titolo FonSai di 18,25 euro. Con i nuovi titoli, sottoscritti nell’ambito dell’aumento a 1,5 euro, il valore di carico è stato abbassato a 7 euro, portando tuttavia, in virtù dell’emissione di nuove azioni, il valore complessivo del pacchetto di controllo nella compagnia (limato nel corso dell’aumento al 31,6%) a 918 milioni (valore che tuttavia non è iscritto in alcun documento contabile di Premafin, considerato che il bilancio civilistico viene approvato una volta l’anno). Oggi quel 31,6% di FonSai detenuto da Premafin, destinato dopo l’aumento a scendere sotto il 10%, ai prezzi di mercato vale poco più di 90 milioni. Una consistente svalutazione del titolo, con un importante contraccolpo sul patrimonio netto di Premafin, potrebbe dunque essere alle porte. Difficilmente dunque, se le banche che hanno messo Ligresti nell’angolo e che hanno in pegno la quasi totalità dei titoli FonSai non tenderanno la mano alla famiglia, quest’ultima riuscirà a evitare un drammatico tracollo. Sinergia e ImCo, le due holding non quotate a monte di Premafin, sono infatti già a un passo dalla procedura concorsuale (nel primo incontro con le banche creditrci è stato prospettato il 182-bis) e pure la stessa Premafin, che dopo l’uscita dal consorzio Porta Nuova Varesine non ha altri asset se non la quota rimanente in FonSai, potrebbe presto trovarsi in una situazione analoga. Nei giorni scorsi, come riportato nello scorso numero di Milano Finanza, fonti che hanno seguito da vicino l’evoluzione della partita in Fondiaria-Sai hanno fatto balenare l’ipotesi che, contestualmente alla costituzione di un nuovo azionariato stabile per la compagnia attorno a un investitore finanziario e a un partner industriale, Mediobanca e Unicredit si offrano anche di garantire alla famiglia Ligresti una via d’uscita onorevole.

Puntualmente, al termine del cda di FonSai di venerdì 23, fonti vicine a Piazzetta Cuccia hanno sottilineato che la banca d’affari, oltre a «sostenere il rilancio di FonSai, lavorerà a soluzioni condivise dalla famiglia Ligresti». Una disposnibilità, quella manifestata da Mediobanca, che ora toccherà alla famiglia decidere se accogliere oppure no. Secondo fonti vicine al dossier, infatti, in caso di diluizione in FonSaiPremafin per evitare di andare a gambe all’aria avrà la necessità di trovare un investitore che affianchi la famiglia Ligresti in un eventuale rafforzamento patrimoniale. Ma quale investitore sarebbe disponibile a offrire il proprio aiuto ai Ligresti sapendo che al piano di sotto Mediobanca e Unicredit stanno già lavorando a un nuovo assetto azionario? Sulla carta pochi. Ecco perché in Piazzetta Cuccia, che ha ottenuto dal cda di FonSai il mandato a organizzare l’aumento di capitale, sono consapevoli che la ricerca del partner per Premafin e dei nuovi azionisti stabili della compagnia assicurativa possa essere portata avanti congiuntamente in una soluzione complessiva di tutta la partita. Sempre che ora la famiglia accetti. (riproduzione riservata)