di Guido Salerno Aletta

Dietro alti tassi di interesse non c’è solo il premio al rischio, ma sempre un altro interesse. Maggio 2010: di tempo ne è passato, ma i ricordi sono vivi e le carte ancora sulle scrivanie; il ministro dell’Economia era Giulio Tremonti e la questione più urgente era fermare il contagio della crisi greca: dopo una estenuante trattativa tirata alle lunghe dalla Germania per tutto l’inverno, il programma di aiuti fu varato nel corso di un fine settimana drammatico. Venne creato uno special purpose vehicle, l’antesignano del Fondo salva-Stati, un maxi-piano da 750 miliardi. Gli Stati europei, tra cui l’Italia, partecipavano con proprie quote, finanziandosi sul mercato per prestare quei soldi alla Grecia. Tra il serio e il faceto, si osservava che anche gli Stati salvatori avrebbero tratto il loro bel tornaconto, perché i tassi di interesse applicati sui prestiti alla Grecia erano di gran lunga superiori a quelli che venivano pagati dai salvatori per finanziarsi: il solito gioco degli spread. Ti salvo, sì, ma solo se ho un valido ritorno.

Passò l’estate e venne il turno dell’Irlanda, a cui andò anche peggio: non volendo cedere alla richiesta francese di elevare il livello della tassazione sulle imprese ivi insediate, che ha fatto spostare a Dublino una enorme mole di business, venne castigata con un tasso di interesse doppio rispetto a quello contemporaneamente praticato alla Grecia. Altri interessi in gioco, altro tasso: anche stavolta la valutazione del rischio c’entrava poco.

Ma di interessi in giro ce ne sono anche altri, e stavolta sono pure extra-large: riguardano le pensioni dei tedeschi, pagate direttamente dalle loro aziende. E forse c’è di mezzo anche la fretta, già allora per noi inopinata, con cui la Bce ha aumentato i tassi di riferimento a marzo e a luglio scorso, una stretta che andava al di là del consueto rigore teutonico nel contrastare l’inflazione. Una chiave di lettura ce la fornisce il recente Rapporto del Fmi sulla stabilità finanziaria della Germania. È una vera miniera di informazioni, alcune inquietanti: tra le tante, il rapporto avverte che «alcune imprese hanno debiti per pensioni sui propri bilanci, che possono diventare più di un peso. Questi debiti comprendono più della metà del totale dei crediti pensionistici e ammontano a circa il 10% del prodotto lordo del Paese di riferimento. Al pari del settore assicurativo, questi debiti per pensioni possono rivelarsi costosi in un ambiente caratterizzato da bassi tassi di interesse, specialmente perché è applicato un tasso di sconto relativamente alto (attualmente il 5,1%)».

 

La questione incuriosisce alquanto, in primo luogo sotto il profilo politico: si sente dire in continuazione che, se è pur vero che il sistema del welfare tedesco sia analogo a quello italiano quanto a proporzione sul pil, quest’ultimo sia sbilanciato perché le pensioni pesano di più. Se quindi le imprese tedesche hanno debiti pensionistici diretti che ammontano a circa il 10% del pil tedesco e che si vanno ad aggiungere alle erogazioni a carico del sistema pubblico e di quello assicurativo privato, questo non solo ribalterebbe i giudizi correnti, ma spiegherebbe la necessità di alimentare uno stato generale di rischio anche sull’Italia che fa schizzare in alto gli spread. Per mantenere l’equilibrio tra le prestazioni promesse e il capitale investito per erogarle, il rendimento deve essere almeno quello del 5,1%.

Grandi interessi richiedono alti tassi di interesse: per pagare le pensioni dei tedeschi i debiti devono costare cari e il denaro pure. In fin dei conti è così: la metà del debito pubblico è piazzata all’estero e un tasso di interesse prossimo allo zero, come è stato nei primi due anni dopo la crisi, era divenuto devastante per gli interessi di tanti. In Italia si chiedono ancora una volta sacrifici inutili, lacrime e sangue che non portano da nessuna parte, perché il debito pubblico rimane alto e così gli interessi. Ai tassi di fine 2010, che erano in media del 3,9%, finiva all’estero il 2% del pil.

Un interesse c’è, ed è di dimensioni extra-large: se il debito pubblico italiano fosse stato abbattuto e il costo degli interessi azzerato, chi avrebbe pagato le pensioni ai tedeschi? (riproduzione riservata)