di Debora Alberici  
L’imprenditore edile non risponde per i danni subiti dall’operaio in seguito alla caduta da un’impalcatura se ha nominato un capocantiere e un coordinatore che non hanno vigilato. Ad allentare la morsa sulla responsabilità a tutti i costi del datore di lavoro in caso di infortuni è la Corte di cassazione che, con la sentenza n. 44650 del 1° dicembre 2011, ha confermato l’assoluzione nei confronti di un imprenditore accusato di lesioni colpose per la caduta di un operario da un’impalcatura alta 185 cm. Ma da quanto ricostruito dagli inquirenti era emerso in primo luogo che non erano applicabili al caso le norme antinfortunitische poste a tutela dei lavori in quota (per impalcature superiori ai due metri). Non solo. L’imprenditore aveva inoltre nominato un capocantiere, assente per malattia il giorno dell’incidente, e un coordinatore, ritenuto colpevole in un altro procedimento con patteggiamento della pena. Dunque, secondo i giudici di merito del Tribunale di Asti, nulla poteva essere rimproverato al datore di lavoro che aveva predisposto tutte le misure a tutela dell’operaio. Contro questa decisione la pubblica accusa ha presentato ricorso in Cassazione osservando che l’altezza dell’impalcato dal quale è caduto l’infortunato sembra rendere non direttamente applicabili le norme antinfortunistiche specificamente dettate per i lavori in quota. Non basta. Secondo la Procura, in considerazione degli obblighi cautelari imposti dall’art. 2087, cod. civ. al datore di lavoro, nel caso di specie residua a carico dell’imprenditore un profilo di colpa generica, atteso che l’altezza dell’impalcato, di poco inferiore ai due metri (cm 185), rendeva la situazione concreta estremamente pericolosa per l’incolumità degli addetti, tenuto conto della eccessiva distanza tra asse e parete dell’edificio (da 50 a 70 centimetri). Dunque il datore di lavoro avrebbe dovuto rimuovere i fattori di rischio presenti in cantiere, dando disposizioni affinché l’impalcato aderisse alla parete del fabbricato, evitando interstizi pericolosi per gli operai. Una tesi, questa, che non ha convinto la quarta sezione penale che, nel confermare l’assoluzione dell’imputato ha ritenuto che l’organigramma aziendale, con la nomina di capocantiere e coordinatore, fosse impeccabile. Anche la Procura generale della Suprema corte, nell’udienza tenutasi al Palazzaccio lo scorso 20 ottobre ha chiesto la conferma della pronuncia di assoluzione dell’imprenditore.