Spunta a sorpresa, tra le pieghe della manovra da 30 miliardi varata dal governo Monti, anche un provvedimento che potrebbe creare parecchio scompiglio nel sistema finanziario italiano. Nell’articolo 36 del decreto legge firmato ieri dal presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, si legge infatti che «è vietato ai titolari di cariche negli organi gestionali, di sorveglianza e di controllo e ai funzionari di vertice di imprese o gruppi di imprese operanti nei mercati del credito, assicurativi e finanziari di assumere o esercitare analoghe cariche in imprese o gruppi di imprese concorrenti». E visto che la pratica delle partecipazioni azionarie, e dunque delle poltrone, incrociate nei vari organi sociali è diffusa in Italia più che in ogni altro Paese, se effettivamente la norma dovesse essere applicata alla lettera, sicuramente, si potrebbe ben presto aprire una fase di grandi cambiamenti. A cominciare dai vertici della prima banca italiana per attivi: Unicredit. Innanzi tutto, c’è da rilevare che nel cda di Piazza Cordusio siede ancora Enrico Tomaso Cucchiani, ossia il consigliere delegato in pectore dell’altra grande banca italiana, Intesa Sanpaolo. Il manager sessantunenne, sebbene assumerà la carica di ceo di Ca’ de Sass dal 22 dicembre, sulla carta figura già tra i membri del consiglio di gestione di Intesa. Due cariche che, per ovvi motivi, non possono convivere, ma l’anomalia si giustifica con la constatazione che in Unicredit Cucchiani rappresenta Allianz, di cui tuttora ricopre il ruolo di numero uno per l’Italia. Insomma, secondo fonti finanziarie vicine al dossier, a sbloccare la situazione potrà essere soltanto il gruppo tedesco, nominando il successore di Cucchiani alla guida del nostro Paese. In ogni caso, lo stesso Cucchiani ha già messo le mani avanti preannunciando le proprie imminenti dimissioni dal cda in una telefonata con il presidente di Unicredit, Dieter Rampl. E proprio in merito alle cariche ricoperte da Rampl, con l’articolo 38 della manovra, potrebbe porsi qualche problema ben più concreto. Il banchiere nato a Monaco di Baviera, infatti, oltre a essere il presidente di Unicredit (i maligni, tuttavia, potrebbero insinuare «ancora per poco» visto che non è esclusa una sua uscita di scena con il rinnovo dei vertici della prossima primavera), è anche il vicepresidente di Mediobanca. Istituto, quest’ultimo, che compete con Unicredit in ben più di un ambito, l’investment banking su tutti. Del resto, potrebbe obiettare qualcuno, dal momento che Piazza Cordusio è il primo socio con l’8,74% di Piazzetta Cuccia, dovrà pure esprimere qualcuno in cda. Magari, però, potrebbero replicare i sostenitori della manovra del Governo Monti, non proprio lo stesso presidente di Unicredit. Senza contare, poi, che è membro del board di Mediobanca anche Fabrizio Palenzona, nel contempo vicepresidente della banca guidata dall’ad Federico Ghizzoni. Sempre guardando al cda di Piazzetta Cuccia, l’articolo «incriminato» potrebbe mettere in pericolo la poltrona del consigliere Ennio Doris, nello stesso tempo ad di Mediolanum. In questo caso, però, le sovrapposizioni di attività con Mediobanca sono decisamente inferiori rispetto al caso di Unicredit. Tornando a Intesa Sanpaolo, il presidente bresciano del consiglio di sorveglianza, Giovanni Bazoli, che all’interno della banca esercita un grande potere (sarebbe da attribuire a lui, in asse con il numero uno del socio Cariplo, Giuseppe Guzzetti, la scelta di Cucchiani come nuovo ceo), è nel contempo membro del cds di Ubi Banca. Un istituto, cioè, evidentemente in concorrenza diretta con Intesa. Proprio per via di tale legame, tra l’altro, Ubi figura nella compagine soci di Ca’ de Sass. Insomma, da questa breve carrellata (non esaustiva) emerge quanto sia complesso l’intreccio di incarichi ai vertici della finanza italiana. Poiché però tale intreccio è in molti casi riconducibile a incroci di partecipazioni, forse la manovra del Governo avrebbe dovuto fare un passo oltre, mettendo piuttosto nel mirino le quote azionarie in conflitto. Ma così sarebbe stata da rivedere l’intera finanza del Belpaese. In questo modo, invece, potrebbe bastare cambiare soltanto qualche nome, facendo la solita mossa gattopardesca all’italiana.