di Andrea Di Biase
A una settimana esatta dal cda di Fondiaria-Sai del 23 dicembre, che dovrà esaminare le risultanze del lavoro di Goldman Sachs sul rafforzamento patrimoniale della compagnia, non si vede ancora all’orizzonte una soluzione capace di risolvere i problemi che attanagliano il gruppo assicurativo e allo stesso tempo di impedire che le holding della famiglia Ligresti vadano a gambe all’aria. Se è vero infatti che l’aumento di capitale da 600 milioni chiesto da Mediobanca ai vertici di FonSai avrebbe il merito di mettere in sicurezza la compagnia, garantendo allo stesso tempo il prestito subordinato da 1,1 miliardi erogato da Piazzetta Cuccia, è altrettanto vero che una simile operazione, se non fosse accompagnata da altre azioni ai piani superiori della catena, potrebbe equivalere alla fine del gruppo Ligresti. Una prospettiva che, se da un lato è ovviamente vista come fumo negli occhi dalla famiglia, potrebbe allo stesso tempo tradursi in ingenti perdite sui crediti per le banche esposte nei confronti diPremafin e delle non quotate Sinergia e Imco, a cominciare da Unicredit, che vanta un credito complessivo di 280 milioni. Se Premafin, che attualmente controlla il 35% diFonSai, dovesse diluirsi al 12-15% nell’ambito di un eventuale aumento di capitale della compagnia, il pacchetto azionario perderebbe gran parte del proprio valore, mettendo non solo in forte difficoltà la holding ma facendo perdere valore anche a Sinergia e Imco, che detengono il 20% della stessa Premafin. Ecco perché l’interesse mostrato negli ultimi tempi da alcuni importanti operatori finanziari, come il fondo Clessidra, per partecipare al turnaround di Fondiaria-Sai potrebbe non essere sufficiente, se non fosse veicolato in un riassetto complessivo ai vari piani della catena di controllo, a mettere in sicurezza i crediti delle banche. Unicredit e Mediobanca, che è esposta per 75 milioni verso Premafin, si trovano dunque di fronte a un dilemma: fare leva sulle necessità di rafforzamento patrimoniale di FonSai per favorire un ricambio radicale nell’azionariato della compagnia, subendo però il contraccolpo di un tracollo delle holding dei Ligresti, oppure spendersi per una soluzione complessiva ai vari livelli della catena, ma consentendo alla famiglia di continuare ad avere un ruolo, seppur limitato rispetto ad ora, sul gruppo assicurativo. Se dovesse prevalere questa seconda strada, i soggetti che, come Clessidra, hanno manifestato una disponibilità a entrare in partita potrebbero essere invitati a investire non tanto direttamente in FonSaiquanto in Premafin. I nuovi investitori potrebbero rilevare il 20% detenuto da Sinergia e Imco, che così avrebbero un po’ di ossigeno. Il passo successivo sarebbe quello di un aumento di capitale di Premafin, che il nuovo investitore dovrebbe sottoscrivere contestualmente alle tre holding lussemburghesi dei Ligresti (che hanno complessivamente il 30% della holding e non sono indebitate). In questo modoPremafin avrebbe le risorse per sottoscrivere la ricapitalizzazione di FonSai senza diluirsi sotto il 35%. L’alternativa, che equivale a una way-out onorevole per i Ligresti, è che la famiglia accetti di fare un passo indietro, cedendo anche il 30% di Premafina un investitore terzo (che otterrebbe così il controllo di FonSai) e utilizzando le risorse ottenute per ricapitalizzare Sinergia e Imco. Evitando così un tracollo sotto il peso dei debiti. (riproduzione riservata)