di Roberta Castellarin

L’accelerazione verso un sistema contributivo riporta sotto i riflettori il tema della previdenza complementare, che però stenta a decollare. Da gennaio i fondi negoziali registrano un calo nelle adesioni dello 0,5% con un totale di aderenti pari a 2 milioni di lavoratori. «L’esigenza di una previdenza integrativa purtroppo è ancora poco sentita dai lavoratori e dalle aziende in Italia.

E questo dato trova conferma anche nella nostra esperienza, le aziende non puntano sui piani previdenziali per incentivare i loro lavoratori perché non è un tema che trova riscontro», afferma Fabio Carniol, amministratore delegato di Towers Watson in Italia, società di consulenza internazionale che ha una forte competenza in materia di fondi pensione. Oltre a occuparsi di consulenza su temi attuariali e di piani di welfare aziendali, Towers Watson è tra i leader nell’advisory sull’asset allocation e sulla selezione di gestori e sul risk management proprio per fondi pensione ed enti non profit. Dietro al mancato decollo della previdenza complementare in Italia c’è quindi un vuoto di interesse da parte dei lavoratori, forse ancora poco consapevoli della magra pensione che li aspetta. E un mancato flusso di comunicazione. «I fondi pensione nella maggioranza dei casi sono troppo piccoli e fanno fatica a comunicare in modo efficace con i lavoratori. Ci vorrebbe una concentrazione del mercato in modo che si crei un sistema di grandi fondi, come auspica da tempo anche il presidente della Covip Antonio Finocchiaro», dice Carniol. La crescita dimensionale porterebbe diversi vantaggi, dalla riduzione dei costi a una migliore governance. «Il settore dei fondi pensione è in attesa di una revisione delle norme che riguardano le politiche d’investimento dei fondi. Le nuove linee guida probabilmente daranno maggiore libertà d’investimento ai fondi che presentano una migliore governance e capacità di controllare il rischio. Quindi solo i fondi più grandi potranno diversificare in forme d’investimento meno correlate ai mercati, quali private equity, immobiliare o infrastrutture. In cambio dovranno avere figure di alta professionalità negli organi di controllo in modo da tutelare gli iscritti. Servono comitati di esperti o di un responsabile investimenti interno che dialoghi con i consulenti e i gestori», dice Carniol.

Per quanto riguarda il problema della scarsità dei nuovi iscritti un meccanismo di adesione obbligatoria con la possibilità di ripensamento potrebbe dare nuovo slancio al settore. Ma dovrebbe essere accompagnata da una revisione dell’offerta. «Credo che una maggiore presenza di piani life cycle, ossia di piani pensionistici che permettano al lavoratore di cambiare nel tempo la sua asset allocation man mano che si avvicina al momento della pensione, oltre a un’informativa adeguata su quanto l’investimento nel piano, permetterà di integrare il futuro assegno pubblico aiuterebbe i lavoratori a dare maggiore valore al fondo pensione».
Al meccanismo del lifecycle sta dedicando attenzione anche la Covip. Carniol auspica che proprio queste formule diventino la destinazione di default per chi viene iscritto alla previdenza integrativa con il meccanismo dell’adesione obbligatoria, se questo sistema sarà implementato. «Se lo scopo è integrare la pensione futura non ha senso investire per tutta la vita lavorativa il Tfr in una linea garantita, è meglio un piano life cycle con un’allocazione che consenta di massimizzare il possibile risultato, consentendo una scelta tra percorsi più o meno prudenti», dice l’esperto. Che in tempo di crisi ha anche registrato un nuovo trend nelle politiche di benefit aziendali. «Stiamo registrando un interesse crescente per piani di welfare aziendale flessibile che prevedono l’erogazione del bonus sotto forma di benefit anziché di cash. Le aziende per esempio possono rimborsare ai dipendenti le spese per l’istruzione dei figli o una parte delle rate dei mutui, approfittando dei vantaggi fiscali che rendono più vantaggioso il pacchetto retributivo». (riproduzione riservata)