Walter Galbiati
Milano
Previdenza e protezione. Il binomio può essere declinato su due fronti, da una parte la volontà di proteggere la propria pensione in uno scenario che vede l’assegno di fine carriera assottigliarsi sempre più, dall’altra il desiderio di proteggere il proprio capitale accantonato per il meritato riposo dai saliscendi del mercato.
Il primo è diventato di strettissima attualità con l’avvento di Mario Monti e del suo governo. Super Mario, pur smentendo di aver mai parlato di un programma «lacrime e sangue», ha iniziato il suo cammino facendo piangere il ministro del Welfare, Elsa Fornero, e dopo di lei molti pensionandi che ancora speravano di salutare il lavoro con il vecchio sistema. Con un colpo di spugna Monti ha cancellato un’epoca della previdenza italiana, quella del sistema retributivo e ha, volontariamente o involontariamente, rimesso in gioco la previdenza complementare, finora il pilastro zoppo del sistema pensionistico italiano.
Con l’estensione a tutti del sistema di calcolo contributivo saremo tutti uguali davanti alla pensione e gli assegni dipenderanno dal livello dei versamenti accantonati e non più dal livello delle retribuzioni degli ultimi anni di lavoro. Il taglio per le pensioni potrebbe portare a percepire fino al 40% dell’ultimo stipendio contro l’8090% delle pensioni attuali. In più, l’accoppiata MontiFornero ha detto basta alle pensioni di anzianità, un’anomalia italiana nel sistema pensionistico europeo, che gravava non poco sulla spesa corrente. Del resto, la previdenza rappresenta oltre il 40 per cento delle uscite dello Stato e con un debito pubblico fuori controllo è stata la prima voce che l’Europa ha chiesto di rivedere. Il governo ha scelto di accelerare l’equiparazione dell’età pensionabile di uomini e donne, con l’obiettivo di portare a 67 anni l’età media effettiva del pensionamento. Già dal prossimo anno quella della donne salirà a 63 contro i 66 degli uomini.
Con il sistema contributivo verrà tagliata la spesa pubblica e di conseguenza anche l’assegno dei pensionati che potrà scendere del 50% rispetto ai parametri attuali. Uno scenario, non rassicurante in vista di un mondo in cui il Welfare sarà sempre più ridotto all’osso. La prossima dolorosa mossa di Monti è attesa sul mercato del lavoro. Se sulle pensioni il governo è andato diritto per la sua strada, senza una vera e propria trattativa con i sindacati, sul mercato del lavoro c’è bisogno del dialogo. Da qui la prudenza iniziale. Il commissario europeo agli Affari economici, Olli Rehn, ha espressamente chiesto all’Italia di «eliminare le rigidità» del mercato del lavoro, riferendosi all’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori, «per esempio sostituendo l’attuale sistema di protezione attraverso il reintegro obbligatorio con il pagamento di un’indennità di liquidazione legata allo stipendio percepito». Secondo l’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori (legge 30 del 1970) nelle imprese con più di 15 dipendenti il giudice dichiara inefficace il licenziamento se avviene senza giusta causa o giustificato motivo. Il giudice può ordinare il reintegro nel posto di lavoro. In alternativa il lavoratore può chiedere un’indennità pari a 15 mensilità di retribuzione.
Quali novità tirerà fuori Monti non è ancora dato saperlo, ma di sicuro anche lo Stato sociale è destinato a un futuro poco roseo. La speranza è che i contributi versati dalle imprese con contratti di lavoro sempre più saltuari e a singhiozzo non penalizzino ulteriormente i futuri pensionati che dovranno calcolare il proprio assegno solo sui contributi versati. Si apre così il secondo fronte del binomio previdenza e protezione, che con l’avvento di una sempre più probabile pensione integrativa al fianco del tradizionale assegno dell’Inps, ha come tema centrale la salvaguardia del capitale accantonato. Chi infatti sceglie di versare il proprio trattamento di fine rapporto o una parte del proprio stipendio in un fondo pensione non può prescindere dalla necessità di proteggere e, nel migliore dei casi possibili, incrementare quanto versato attraverso i rendimenti. Secondo gli ultimi dati pubblicati dalla Covip, la commissione di vigilanza sui fondi pensioni a settembre 2011 erano 5,4 milioni gli italiani iscritti a un fondo pensione integrativo, di cui 3,9 milioni del settore privato. Il totale delle risorse destinate alle prestazioni delle forme pensionistiche complementari è di 86,3 miliardi di euro.
Da dicembre 2010 a settembre 2011, però, i rendimenti dei fondi pensioni negoziali, quelli istituiti a seguito di accordi collettivi e riservati solo a determinate categorie di lavoratori, sono stati negativi dell’1,6%, mentre i fondi aperti (a libera adesione da parte di tutti i lavoratori) hanno perso addirittura il 5%. La delusione maggiore però è arrivata dai Piani pensionistici individuali (Pip), soprattutto quelli che si basano sulle Unit link, che da gennaio a oggi hanno visto il loro rendimento scendere del 9%. Niente di consolante visto che nello stesso periodo se quei soldi fossero rimasti sotto il vecchio cappello del trattamento di fine rapporto (Tfr), invece di confluire nella previdenza complementare, avrebbero guadagnato il 2,6%.
Eppure in termini di adesioni i Pip hanno continuato a far registrare tassi di crescita a doppia cifra: 120mila nuove adesioni da inizio 2011, con un aumento del 16% rispetto a fine 2010 (+16,9% tra i lavoratori dipendenti). Tassi di crescita che non sono riusciti ad avere né i fondi aperti, né i negoziali, che anzi hanno dovuto mettere in conto un calo delle adesioni. Il successo dei Pip, però, più che ai rendimenti (da inizio anno in positivo solo il comparto obbligazionario con una crescita dello 0,6%) è dovuto in parte alle garanzie offerte dai prodotti collegati a gestioni separate e in misura rilevante anche agli alti incentivi economici destinati a chi li vende. La sforbiciata di Monti alle pensioni potrebbe ora compiere il miracolo di rivitalizzare il settore. La scelta per chi deve investire in un fondo pensione è abbastanza ampia. Il solo elenco dei fondi aperti che pubblica Assogestioni, l’associazione di categoria del risparmio gestito, potrebbe soddisfare le esigenze, quanto a diversificazione per tipologia (azioni, obbligazioni e liquidità), per regioni (Europa, America, Pacifico e Paesi Emergenti), per valute (euro, dollaro yen), per durata (breve, medio e lungo periodo) e per settori (dalle tlc all’energia, dall’informatica a i beni di consumo e così via), ma lascia il vuoto su alcuni strumenti finanziari, come i derivati e altro, che se usati con criterio e sotto lo stretto controllo delle Autorità di vigilanza potrebbero aiutare i gestori “esperti” e non improvvisati a portare a casa risultati decisamente migliori.