ANDREA GRECO

Più che consulenti, mezzi psicologi. I gestori dei grandi patrimoni — la soglia per definirsi private in Italia è 500mila euro — hanno un bel daffare per tenere calmi i clienti, ripararli dalla tosatura quotidiana dei listini e dalle mire della volontà politica, che potrebbe cominciare da loro a far pagare i nuovi dazi per la seconda crisi finanziaria in tre anni. Finora la competenza, la pazienza e il lavoro dei private banker italiani sembra riuscita ad arginare il panico; ma senza un concreto miglioramento della situazione macro, sarà sempre più difficile. Anche perché lo scenario normativo è una corsa a ostacoli: tra quelli lasciati in dote dal governo Berlusconi (nuove aliquote e bolli maggiorati saranno legge tra un mese) e quelli che il governo Monti potrebbe adottare, magari imperniati sul temuto concetto di “patrimoniale”.
Da gennaio entreranno in vigore le nuove misure varate in estate: uniformazione al 20% del prelievo sui proventi finanziari da cedole e capital gain su azioni e bond (finora al 12,5%) ma anche degli interessi sui conti correnti (in questo caso si tratta di miglioramento, perché l’aliquota attuale è il 27%), poi aumento dell’imposta di bollo sul conto titoli, che per i portafogli sotto i 50mila euro resterà invariata a 34,20 euro l’anno, ma per quelli più robusti salirà gradualmente, fino a 1.100 euro annui oltre la soglia private (dal 2013). Si tratta di misure che gli operatori dell’industria private già etichettano come “piccole patrimoniali”.
Secondo i dati dell’Associazione italiana private banking a giugno, l’industria vale 428 miliardi di masse; ma la caduta dei prezzi e l’aumento dei rischi fa prevedere una limatura degli stock fino all’8% sui dati di fine anno. «Personalmente, ritengo che la maggiorazione dell’imposta di bollo sia in sostanza una tassa sui patrimoni — dice Paolo Molesini, ad di Intesa Sanpaolo Private Banking — dopo di che, anche nel caso si ipotizzassero altri interventi del governo sui patrimoni finanziari, potremmo avere comunque un saldo positivo: perché da una parte ci sarebbe un prelievo dai conti dei clienti, dall’altra una correlata ripresa di valore dei loro titoli sovrani». Una categoria di investimento cui gli italiani sono affezionati malgrado tutto, come dimostra il successo del recente Btp day. «La nostra clientela continua a comprare e a rinnovare i titoli di stato italiani, non crede certo in un fallimento del paese», aggiunge Molesini.
Dal punto di vista delle strategie, le norme in arrivo potrebbero spostare altre masse gestite sui conti di deposito — già negli ultimi mesi hanno totalizzato flussi attivi per una decina di miliardi, anche a fronte dell’esigenza degli istituti di aumentare la raccolta diretta — ma anche su quegli strumenti che non prevedono un conto titoli, oppure continuano a godere di imposte più leggere. Quindi saranno favoriti i titoli di stato a scapito di azioni e bond societari, o, d’altro canto, fondi comuni, Sicav, Gpm, polizze vita e pronti contro termine, che non prevedendo un deposito titoli schivano i bolli. 
«L’aumento di bolli e aliquote da gennaio tanto piacere non farà — sostiene Dario Prunotto, responsabile del Private Banking Italia di UniCredit — , ma non vedo comportamenti anomali, clienti che mettono i soldi sotto il materasso o flussi che escono. È un momento di apprensione, ma per quello che accade sui mercati, non per quello che potrebbe fare l’esecutivo con le sue manovre». Secondo Prunotto, i clienti private «sono molto inseriti nella realtà circostante, anche perché in gran parte sono imprenditori o professionisti e il loro senso di responsabilità è sempre più forte». Benché a Piazza Cordusio non vengano registrati fenomeni di disaffezione, tuttavia, l’atmosfera è tipica dei giorni di trincea. «Sui titoli governativi i clienti continuano a rinnovare, anzi nelle ultime settimane registriamo un ritorno molto positivo. In termini generali avevamo ridotto i fenomeni di volatilità orientando sulle scadenze più corte. Sul versante azionario l’esposizione rimane bassa, nell’immobiliare è in lieve riduzione perché l’incremento dei tassi frena nuove iniziative. Più in generale, una visibilità così scarsa fa vivere un po’ alla giornata, non ci sono costruzioni di grandi piani di investimento, né significativi ritorni al rischio». Per questo UniCredit si sta focalizzando su attività di supporto alle esigenze quotidiane dei clienti, come il recente plafond da 300 milioni per finanziare i passaggi generazionali nelle piccole aziende familiari.