Va sempre risarcito il trasportato consapevole dello stato di ebbrezza del conducente
di Bianca Pascotto
“Credo ch’un spirto del mio sangue pianga la colpa che là giù cotanto costa” è il famoso monito che Dante proferisce nel XXIX canto dell’Inferno e che nel gergo comune viene riassunto con la frase “chi è causa del suo mal pianga se stesso”, locuzione che ben riassume il concetto di responsabilità che tutti dovremmo anteporre ad ogni nostra azione.
In realtà il concetto di responsabilità personale si è in gran parte perso nei nostri giorni e si è persa anche la consapevolezza degli effetti che la nostra irresponsabilità arreca all’intera collettività, considerato che oggi domina il concetto dell’io e non dell’altro e questo – tralasciando l’aspetto morale – provoca importanti ricadute economiche che vengono inevitabilmente poste a carico di tutti.
È con questo spirito, senz’altro in controtendenza, che voglio leggere la recente pronuncia della Corte di Cassazione1 che, impeccabile nel ricostruire l’imprescindibile ed indiscussa tutela del terzo trasportato in caso di incidente stradale, conferma – e non potrebbe fare altrimenti – l’impossibilità di poter escludere totalmente il risarcimento del danno a suo favore e, ove sussista il suo concorso nella causazione del sinistro, la limitazione del risarcimento da valutarsi caso per caso.
Il trasportato, per definizione, si trova a bordo del veicolo e non lo guida, quindi la sua condotta è irrilevante durante la conduzione del veicolo, ma non altrettanto può dirsi dell’atteggiamento e del comportamento che deve adottare nella sua qualità di trasportato.
Forse non ci si ricorda che anche al trasportato si richiede il rispetto di alcune norme del codice della strada quale ad esempio (i) quello di prendere posto in modo da non limitare la libertà di movimento del conducente e da non impedirgli la visibilità (art. 169 cds), (ii) di stare seduto in modo stabile ed equilibrato nella posizione determinata dalla apposte attrezzature del veicolo (art. 170 cds), (iii) di utilizzare le cinture di sicurezza (art. 172 cds).
Il mancato rispetto di dette norme, in alcuni casi, può essere la causa esclusiva di un sinistro, soprattutto se ci riferiamo alla violazione degli artt. 169 e 170 cds, ed in altri casi può essere una importante causa che concorre all’aggravamento delle lesioni (ex art. 172 cds) quando ad esempio, il veicolo venga tamponato ed il trasportato, privo di ritenzione, urti il parabrezza del veicolo.
In tutti i casi ove la condotta del trasportato violi il precetto normativo e assuma, quindi, profili di colpevolezza, ci si richiama all’applicazione dell’art. 1227 del codice civile2 che, in ambito contrattuale, disciplina il concorso del creditore alla produzione del danno a sé arrecato, limitandone il risarcimento fino ad annullarlo, nel caso in cui il danno sarebbe stato evitabile se il creditore se avesse adottato una condotta diligente.
Questo concetto ci permette di affrontare ed entrare nel merito dell’ordinanza che ha il pregio di prendere in esame e enunciare il principio di diritto a cui si sarebbe dovuto attenere il giudice del merito, nonostante la Corte abbia dichiarato il ricorso improcedibile.
La vicenda
Tizio a bordo di un veicolo subisce lesioni personali a seguito di un incidente, nel quale il conducente invade autonomamente l’opposta corsia di marcia. Tizio rivolge la richiesta di risarcimento del danno alla compagnia assicuratrice del veicolo sul quale si trova a bordo, risarcimento che gli viene riconosciuto solo nella misura del 50%.
La compagnia sostiene che Tizio è salito a bordo del veicolo nonostante fosse a conoscenza che il conducente era in evidente stato di ebbrezza e tale cosciente accettazione del rischio, lo ha reso compartecipe del danno subito.
Sia il tribunale che la corte d’appello riconoscono la legittimità dell’applicato concorso di colpa a carico di Tizio e la vicenda giunge così avanti il Supremo Collegio.
La Decisione
Il ricorso presentato, purtroppo per il ricorrente, presenta un ineliminabile vizio processuale consistente nel mancato deposito della relazione di notifica della sentenza d’appello.
Detto presupposto è processualmente fondamentale perché permette alla Corte di verificare la tempestività del deposito del ricorso e, poiché l’omessa allegazione della relata di notifica non rientrava nelle ipotesi di deroga contemplate dalla giurisprudenza, il ricorso di Tizio viene dichiarato improcedibile.
Nonostante ciò, però, la Corte coglie l’occasione per entrare nel merito ed enunciare, comunque, il principio di diritto da applicarsi ove il ricorso fosse andato a buon fine, ravvisando la necessità di affrontare la problematica sottesa al caso di specie per la sua rilevanza nell’interesse della legge.
In entrambi i gradi di giudizio il trasportato è stato ritenuto responsabile del danno in concorso con il conducente, ai sensi dell’art. 1227 c.c. per aver accettato il trasporto nonostante lo stato di ebbrezza del conducente.
Detto concorso era stato contestato dal ricorrente, sostenendo che da un lato non vi era la prova che lo stato di ebrezza fosse stata la causa del sinistro e dall’altro non sussisteva alcuna prova che Tizio fosse consapevole dell’ebbrezza del conducente.
La tesi difensiva obbliga il Supremo Collegio ad interrogarsi sulla compatibilità tra l’art. 1227 del codice civile e la normativa comunitaria in ambito RCA cui tutti gli stati membri devono attenersi, armonizzando il loro diritto interno.
L’art. 13 della Direttiva 2009/13 stabilisce che “gli Stati Membri adottano le misure necessarie affinché qualsiasi disposizione di legge o clausola contrattuale contenuta in polizza di assicurazione che escluda un passeggero dalla copertura assicurativa in base alla circostanza che sapeva o poteva sapere che il conducente del veicolo era sotto gli effetti
dell’alcool o di altre sostanze eccitanti al momento del sinistro, sia considerata senza effetto per quanto riguarda l’azione di tale passeggero”.
Detta norma parrebbe risultare in contraddizione con il XXII Considerando3 della stessa Direttiva, il quale, nell’indicare che l’obiettivo del legislatore comunitario è quello di garantire la massima tutela al trasportato e che quest’ultima non può essere condizionata dall’esser il trasportato a conoscenza o meno dello stato di alterazione del conducente
nondimeno, stabilisce che …“resta salva, però la responsabilità dei passeggeri di veicoli condotti da persone di stato di ebbrezza secondo la legislazione nazionale applicabile, nonché il livello del risarcimento per danni in un incidente specifico”.
Il contrasto tra le due disposizioni, determinato
1) dalla statuizione che la norma interna sia priva di effetto ove escluda il passeggero dalla tutela risarcitoria in caso in cui sia consapevole dello stato di ebbrezza,
2) dalla possibilità che la normativa dello Stato preveda il riconoscimento di una responsabilità del passeggero e di conseguenza di ridurne l’importo risarcitorio, è in realtà
solo apparente.
La Corte di Giustizia era già intervenuta sul punto sciogliendo il dilemma con l’affermazione di due principi:
A) il rango primario della norma comunitaria impone agli Stati Membri di non limitare il
diritto del passeggero con norme tali da negargli il diritto al risarcimento del danno;
B) la norma comunitaria consente allo Stato Membro di limitare il risarcimento al passeggero solo in base ad una valutazione caso per caso, ad opera del giudice ove ravvisi una condotta colposa del passeggero che possa concorrere alla produzione del danno in applicazione dei principi della responsabilità civile.
La pronuncia della Corte di Giustizia permette al Supremo Collegio di superare, in un certo qual modo, il principio di “intangibilità del diritto del trasportato”, sottoponendo la sua condotta alla verifica di una eventuale colpevolezza alla luce dei principi della responsabilità civile.
Ma per accertare l’eventuale concorso del passeggero, sarà necessario verificare caso per caso, analizzare la sua condotta mediante un giudizio ex post, non ex ante, tenere conto delle molteplici circostanze di tempo, luogo, condizioni della vittima e del conducente, prevedibilità del rischio e quant’altro occorra ai fini dell’addebito.
Nel caso di guida in stato di ebbrezza sarà competenza esclusiva del giudice valutare, alla luce delle circostanze concrete, se il trasportato era consapevole dello stato soggettivo del conducente e non si potranno imporre al passeggero preclusioni o decadenze per il solo fatto di trovarsi a bordo di veicolo condotto da un ubriaco.
Alla stregua della ricostruzione sistematica tra la norma interna e quella comunitaria (oggi unionale), nonché degli assunti pronunciati dalla Corte di Giustizia, la Corte di Cassazione trae le su conclusioni per interpretare correttamente l’art. 1227 del codice civile e delinearne il corretto ambito di applicazione, pervenendo ad enucleare i due principi di diritto che seguono.
Ogni qualvolta si dibatta di danni al trasportato conseguenti allo stato di ebbrezza del conducente, per l’applicazione dell’art. 1227 del codice civile si dovrà:
1) non ritenere ipso fatto impegnata la responsabilità della vittima per aver accettato di essere trasportata da un conducente ubriaco, ma compete “al giudice di merito valutare in concreto e secondo tutte le circostanze del caso se ed in che misura la condotta della vittima possa esser ritenuta concausa del sinistro, fermo restando il divieto di valutazioni che escludano interamente il diritto al risarcimento spettante al trasportato nei confronti dell’assicuratore del vettore”;
2) “l’accertamento dell’esistenza e del grado della colpa della persona che, accettando di farsi trasportare da un conducente in stato di ebbrezza, patisca un danno in conseguenza ad un sinistro stradale è apprezzamento di fatto riservato al giudice di merito ed insindacabile in sede di legittimità se rispettoso dei parametri dettati dal primo comma dell’art. 1227 c.c..”.
Queste dunque saranno le regole cui i giudici dovranno attenersi per il futuro.
Non nascondo il dubbio che mi sorge dalla lettura dell’inciso del principio di diritto laddove la Corte, in ossequio alla normativa comunitaria, disponga espressamente il divieto assoluto di valutazioni che escludano in toto il risarcimento al passeggero.
Il risarcimento del danno è un diritto che va riconosciuto in assenza di colpa o ridotto in caso di concorso, ma pur sempre in presenza di una condotta colposa del danneggiante.
Nel caso in cui il passeggero non utilizzi le cinture di sicurezza, e quindi versi in colpa per non essere un passeggero diligente, si possa dimostrare che lo stato di ebbrezza non sia stata la causa del sinistro e non sussista colpa di terzi (sinistro provocato per caso fortuito o forza maggiore), allora mi chiedo perché mai non dovrebbe trovare applicazione il secondo comma dell’art. 1227 del codice civile e l’esclusiva responsabilità del passeggero.
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