Selezione di notizie assicurative da quotidiani nazionali ed internazionali

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Intelligenze artificiali personalizzate, ma nel rispetto della privacy. Gli operatori economici, che offrono i propri servizi gestiti da sistemi di IA, devono osservare le disposizioni del Gdpr e, quindi, scrivere documenti interni di valutazione dell’impatto derivante dall’uso di queste tecniche. Non bisogna, insomma, partire in tromba, ma bisogna verificare i passaggi formali e organizzativi richiesti dal Gdpr e monitorare costantemente la situazione normativa e le iniziative del Garante della privacy. L’IA è, infatti, una sorvegliata speciale. In sede italiana, non a caso, il Garante ha dichiarato guerra al webscraping e cioè alla raccolta massiva di dati personali a fini di addestramento degli algoritmi di intelligenza artificiale (IA) da parte di soggetti terzi (comunicato del 22 novembre 2023), riservandosi interventi d’urgenza contro questa pesca a strascico e, nelle more, chiedendo di inviare all’indirizzo webscraping@gpdp.it contributi di idee per stopparla.
Netta inversione di tendenza per le pmi italiane, nel 2023. E il prossimo biennio non fa ben sperare. Dopo un 2022 caratterizzato da poche chiusure e fatturati in crescita (+6,1% soprattutto per effetto delle piccole imprese), nel primo semestre di quest’anno, i dati sulla demografia d’impresa e le abitudini di pagamento hanno messo in evidenza situazioni di difficoltà. Non nascono nuove imprese (-2,3% su base annua), con una contrazione particolarmente significativa di srl semplificate (-7,9%) e nel settore dell’edilizia (-8%). Al contrario, per la prima volta dal 2019, aumentano le imprese che chiudono i battenti (+33,3%), con un aumento del 25,2% per i fallimenti e del 36% per le liquidazioni in bonis, soprattutto nel manifatturiero (+50,6% fallimenti, +55,4% liquidazioni).
L’Inail non può più tenere la bocca cucita sulle richieste di rendite per infortuni o per malattie professionali. Le sedi dell’istituto assicuratore, infatti, d’ora in avanti devono sempre portare a termine il procedimento di richiesta di liquidazione di una prestazione, emettendo il relativo provvedimento di accoglimento o rigetto. A stabilirlo è lo stesso Inail (direzione generale) nel modificare i criteri di calcolo della durata della “sospensione” della prescrizione del diritto alle prestazioni, a seguito di nuovi orientamenti della giurisprudenza. In base a tali nuovi criteri, il termine di prescrizione (che è triennale) rimane sospeso finché l’Inail non decide emettendo il relativo provvedimento di accoglimento o di rigetto alla richiesta di una prestazione; finora, invece, la sospensione poteva durare massimo 150 (infortuni) o 210 (malattie professionali) giorni, a prescindere dall’emissione del provvedimento da parte dell’Inail.
Le misure. L’unica riforma in programma, già conseguita, riguarda le procedure per la valutazione di progetti nel settore del trasporto pubblico locale e del trasporto rapido di massa e ha lo scopo di accelerare le tempistiche di realizzazione degli interventi e semplificare le procedure di valutazione dei progetti. Ciò avviene, nello specifico, razionalizzando le responsabilità, eliminando le duplicazioni di competenze e semplificando le procedure di pagamento. In particolare, come si legge sul sito Italia Domani, “la riforma ha semplificato le procedure autorizzative del Mims per velocizzare l’approvazione di interventi fondamentali per la mobilità cittadina quali la realizzazione di progetti per il trasporto rapido di massa, su cui intervenivano due enti diversi del Ministero (Direzione generale per il trasporto pubblico locale e Consiglio superiore per i lavori pubblici). Tali semplificazioni, tuttavia, non hanno inciso sulle procedure di valutazione di natura ambientale previste dalla legge”.
Slalom di responsabilità tra amministratori e liquidatori. Se dall’accertamento di una causa di scioglimento della società all’avvio della fase liquidatoria il passo è breve, è chiaro che fino alla pubblicazione della nomina dei liquidatori gli amministratori conservano il potere gestorio della società. Si apre, così, una fase operativa in cui l’organo amministrativo è tenuto a effettuare una serie di adempimenti funzionali al “passaggio di consegne” ai liquidatori, passaggio che presuppone un avvicendarsi tra organo amministrativo e organo liquidatorio. Così, ponendo l’attenzione sulla responsabilità degli amministratori appare necessario il richiamo alla norma di cui all’articolo 2485 del codice civile.
La responsabilità dell’appaltatore nei confronti del committente per i difetti dell’opera non ammette limitazioni né esclusioni, salvo quelle dipendenti dall’accettazione senza riserve dell’opera e del venir meno della garanzia per effetto di decadenza. Sono a carico dell’appaltatore tutte le conseguenze dell’inesatto adempimento, dovendo quest’ultimo sopportare l’onere integrale dell’eliminazione dei vizi. Nel caso in cui le spese sostenute dal committente per il suo intervento riparatorio non abbiano consentito la suddetta eliminazione con superamento definitivo del pregiudizio lamentato, l’appaltatore è tenuto a sopportare l’intero peso economico che sia idoneo a garantire il risultato preventivamente concordato con l’esatta esecuzione del contratto di appalto. Con ordinanza n. 31974 del 17/11/2023 la seconda sezione civile della Cassazione ha cassato la sentenza impugnata e rinviato alla Corte di appello di L’Aquila affinché, in diversa composizione, decida la causa alla luce dei principi enunciati.
Responsabilità professionale: è tenuto al risarcimento del danno il notaio che stipula un contratto di vendita di un bene pur sapendo che lo stesso bene era già stato promesso ad un altro acquirente. Lo hanno chiarito i giudici della III sezione civile della Cassazione nell’ordinanza n. 31936/2023, accogliendo il primo dei tre motivi di ricorso di una donna, mosso avverso la sentenza di secondo grado.

Il sistema del welfare nel comparto dell’artigianato presenta una forte “regionalizzazione” delle tutele e delle prestazioni, scenario in cui rivestono un ruolo fondamentale gli enti bilaterali territoriali. Ciò deriva dalla particolare conformazione delle imprese artigiane, per natura di piccole dimensioni, che danno vita ad un tessuto produttivo frammentario e diversificato in base al settore di appartenenza. È il tratto più marcato che emerge dal quadro delineato nel focus presente nella sesta edizione della ricerca «Welfare for people», dedicata al welfare occupazionale e aziendale e condotta da Fondazione Adapt in collaborazione con Intesa Sanpaolo.


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Teoricamente, il prossimo obiettivo di Anima dopo l’acquisizione di Kairos è raggiungere e superare Amundi per masse gestite. A settembre scorso, la branca della multinazionale francese aveva 214 miliardi di masse gestite nel nostro Paese, al terzo posto dopo Intesa e Generali, entrambe prossime ai 500 miliardi. Per Anima, al quarto posto, l’acquisizione di Kairos – dal punto di vista degli asset under management – è una piccola cosa, poiché aggiunge soltanto 4,5 miliardi ai suoi 184. Tuttavia Anima, guidata da Alessandro Melzi D’Eril, è stata in questi ultimi cinque anni la più dinamica: tra il 2018 e il settembre del 2023 ha aumentato il patrimonio in gestione del 12,2% annuo, contro una media delle società rappresentate in Assogestioni dell’1,6%. In paricolare, nei cinque anni Intesa è cresciuta del 3,8% all’anno, Generali è scesa dello 0,8%, Amundi è cresciuta dell’1,3% e Poste del 3,3% (variazioni per crescitaorganica e acquisizioni).
Ben 25 miliardi di euro di nuovi ricavi annuali per le società che erogano finanziamenti nel settore della mobilità entro il 2030 nei cinque Paesi della Ue che rappresentano il 60% del mercato: Italia, Francia, Germania, Spagna e Regno Unito. Il che vuol dire un tasso di crescita annuale composto del 4%. Un aumento della domanda di credito che secondo l’ultimo report di McKinsey si basa su tre linee di sviluppo: aumento della richiesta di erogazioni per le auto usate, crescita del nuovo segmento della micromobilità, che comprende dalle bici elettriche ai quadricicli, passando per i monopattini, fino al finanziamento delle infrastrutture di ricarica per i mezzi elettrici, componente necessaria per chi decide di passare a un mezzo con alimentazione a batteria.
Un ritorno come amministratore delegato in Zurich Insurance group Italia dopo aver ricoperto vari ruoli in GeneraliNovità al vertice per Zurich Insurance group che ha nominato Bruno Scaroni nuovo amministratore delegato Italia a partire dal prossimo 1° gennaio. Il manager, che subentrerà a Giovanni Giuliani, riporterà ad Alison Martin, chief executive officer Emea & bank distribution. Per Scaroni non è la prima esperienza all’interno di Zurich, dove aveva già lavorato dal 2008 al 2013 occupandosi dello sviluppo del business sia a livello di country sia a livello di gruppo. Più di recente ha invece ricoperto diversi ruoli nel gruppo Generali: è stato responsabile della distribuzione in Italia, nonché ceo di Europe Assistance Italia, group strategy and business accelerator director e, dal 2021, group chief transformation officer.
I dati relativi al periodo gennaio- settembre del dipartimento della pubblica sicurezza del Viminale e dagli uffici del ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, evidenziano un trend positivo. Appaiono infatti in calo sia gli incidenti stradali (meno 9,5%) sia i decessi sulle strade (meno 7,8%) rispetto allo stesso periodo del 2022. Numeri confortanti e che si inseriscono in un trend in discesa che va avanti da qualche anno, anche se occorre fare di più. Secondo dati Eurostat, tra il 2012 e il 2022 il numero di morti su strada è diminuito in Europa del 24%, passando da 60 a 46 decessi per milione di abitanti. Il calo si è avuto anche in Italia, però in maniera più contenuta (meno 16%). Inoltre, nel nostro Paese lo scorso anno i morti per incidenti stradali sono stati 53 ogni milione di abitanti, l’ottavo dato più alto della Ue, in linea con i numeri del 2019. La Francia ha avuto 49 morti ogni milione di abitanti, la Spagna 32 e la Germania 31. Numeri ancora rilevanti e che comportano anche forti costi sociali. I dati di un recente rapporto Istat – Aci evidenziano che lo scorso anno il costo sociale per ogni personamorta in un incidente stradale è stato di 1,8 milioni di euro, per un totale di 18 miliardi di euro, ovvero lo 0,9 % del Pil, con un incremento del 9,8% rispetto al 2021. Tra le città, Firenze e Genova hanno risentito del costo sociale più alto (il doppio di quello di Napoli e Palermo).
L’ Unione europea punta a dimezzare il numero di vittime sulle strade entro il 2030 e a eliminare completamente i decessi entro il 2050. Obiettivi che però, allo stato attuale, sono ancora lontani dall’essere raggiunti e per i quali un grosso aiuto potrebbe arrivare dalla tecnologia. È quanto emerge dal rapporto Dekra sulla sicurezza stradale 2023 “Tecnologia e persone”, che individua in particolare nello sviluppo della guida automatizzata una soluzione che, se adeguatamente implementata, permetterebbe di ridurre gli incidenti mortali. Dal report si evince come sia necessario prestare attenzione a determinate zone e fasce di popolazione particolarmente vulnerabili. Il 70% circa di tutti gli incidenti mortali di pedoni si verifica infatti nei centri urbani e quasi la metà di tutte le vittime è over 65. Come sottolinea la ricerca, «il 90% degli incidenti è causato dall’errore umano e, pertanto, è necessario implementare sistemi di assistenza alla guida in grado di riconoscere tempestivamente situazioni critiche», aggiunge il presidente di Dekra, per il quale, «pur essendo l’uomo con la sua condotta determinante nella sicurezza stradale, appare imprescindibile puntare sull’innovazione tecnologica in grado di supportare in modo efficace i soggetti coinvolti nella circolazione stradale e raggiungere così l’ambizioso obiettivo “Vision Zero”, di eliminare del tutto le vittime della strada entro il 2050».
È un consulente che affianca gli esperti di sicurezza informatica, ma è anche un hacker in grado di sferrare attacchi devastanti in tempi record: stiamo parlando dell’intelligenza artificiale generativa, che sta cambiando in profondità anche il contesto della cybersecurity. Una tecnologia che pone nuove sfide alle aziende e a chi si occupa di sicurezza informatica: «La difficoltà di questo momento storico? La presenza di tecnologie emergenti dirompenti che rendono la partita più complessa – commenta Marco Molinaro, Security Lead Italia, Centro Europa e Grecia di Accenture – . Arrivano tecnologie che cambiano i paradigmi tra cui l’Ai generativa, la computazione quantistica, la realtà aumentata. L’Ai, per esempio, consente di sferrare attacchi devastanti in poco tempo: è in grado di chiamarti con la voce del tuo capo e chiederti di fare delle cose. Consente più facilmente di trovare delle vulnerabilità e scrivere programmi in grado di attaccare queste vulnerabilità. Oggi si ha bisogno di meno competenze per fare un attacco, non serve l’hacker guru».
Sabotaggi, richieste di riscatto e blocco delle infrastrutture cruciali come quelle della sanità e della difesa. La cyber war va assumendo un peso crescente nell’ambito della più generale crescita degli attacchi informatici, che riguardano anche aziende e persone. Secondo le rilevazioni di Clusit (Associazione italiana per la sicurezza informatica), nel primo semestre di quest’anno vi è stata una crescita degli attacchi nell’ordine del 40% a raggiungere quota 132, a considerare solo quelli di particolare gravità). È in questa cornice che va inquadrata la scelta di Revo Insurance di entrare nel mercato della cybersicurezza con la nuova polizza Revo SpecialtyXCyber Risk. Una copertura per la responsabilità civile verso terzi a tutela dell’impresa o dello studio professionale da rischi legati ad attacchi informati

Dal consolidamento dell’accordo tra Unicredit e Azimut ai piani di Mediobanca, fino a Mediolanum e Fineco: tutto quello che può evolversi dopo l’acquisto di Kairos da parte del gruppo che ha Bpm come primo azionista
Anche chi si ritrova nel sistema contributivo dovrà forse affrontare meccanismi più severi per ritirarsi in anticipo, mentre il pericolo di dover proseguire fino ad età molto avanzate si riduce parzialmente. Lo dice la legge di Bilancio: il sistema deve fare i conti con risorse limitate e spese in aumento
Negli anni successivi alla Riforma Monti-Fornero si è spesso sentito dire, anche dall’allora presidente dell’Inps Tito Boeri (nel 2016), che i giovani rischiano di andare in pensione oltre i 75 anni. Si tratta in effetti di una possibilità derivante dalla combinazione di due fattori: lavoratori giovani, in uno scenario di elevata crescita dell’attesa di vita (3 mesi ogni 2 anni), con carriere discontinue, precarie e con bassi redditi e quindi pochi contributi versati. In questi casi, qualora la pensione non superi una volta e mezza l’assegno sociale (circa 670 euro netti), non è possibile godere della pensione di vecchiaia (67 anni di età), ma è necessario attendere la pensione di vecchiaia contributiva (71 anni di età, da incrementare per l’attesa di vita, con 5 di contribuzione). La tabella mostra quali siano i redditi medi da avere, in funzione del numero di anni di lavoro, per poter superare l’attuale asticella di 1,5 volte l’assegno sociale e non rischiare di dover andare a 71 anni e oltre.
Se non è la fine di Quota 103, ci somiglia molto. Fino al 31 dicembre di quest’anno un aspirante quotista, oltre a soddisfare il requisito di 62 anni di età con 41 di contributi, deve valutare se proseguire a lavorare, usufruendo del cosiddetto bonus Maroni, non pagando più i contributi, oppure andare in pensione senza penalizzazioni esplicite, se non quelle dovute al fatto che smettendo di lavorare prima si è più giovani e si versano meno contributi, ottenendo quindi un assegno più basso. Inoltre dovrebbe considerare una finestra di 3 mesi per i lavoratori privati e di 6 mesi per quelli pubblici. Infine, se con un buon reddito, dovrebbe accettare di sottostare a un limite temporaneo del valore della pensione, pari a cinque volte il minimo (circa 2.800 euro lordi) fino al raggiungimento dei 67 anni.
La Riforma Monti-Fornero del 2011 aveva voluto lasciare aperta una porta che consentisse ai giovani di poter andare in pensione prima. Nel 2024 e per gli anni a venire quella porta potrebbe restare aperta, ma in versione ristretta. Per chi ha iniziato a lavorare a partire dal 1996, con il requisito di pensione anticipata contributiva è infatti possibile, nel 2023, lasciare a 64 anni di età, con 20 di contribuzione, se la rendita sarà pari ad almeno 2,8 volte l’assegno sociale. Si tratta di un netto di circa 1.200 euro. Una soglia alla portata di lavoratori dipendenti che abbiano una retribuzione media, nel corso della propria carriera compresa tra i 26.771 e i 42.833 euro lordi annui, a seconda del numero di anni lavorati. Un traguardo un po’ meno alla portata di molti lavoratori autonomi, che dovrebbero avere un fatturato medio compreso tra i 36.810 e i 58.896 euro all’anno. Ma dal 2024 potrebbero cambiare molte cose.