TEST DI CONVENIENZA SULLE OPPORTUNITÀ MESSE IN CAMPO DAL GOVERNO: TASSE AGO DELLA BILANCIA
di Daniele Cirioli
Tra andare in pensione o continuare a lavorare con premio (33% in più in busta paga), vince la terza chance: continuare a lavorare senza premio. A fare la differenza sono le tasse, che erodono il di più intascato dal lavoratore tanto da renderlo meno conveniente rispetto all’aumento della pensione cui deve rinunciare (per intascare il premio). È un bluff, insomma, la nuova opportunità offerta dalla Manovra 2023 (che è ancora in bozza). Per esempio, per un lavoratore con 2 mila euro di stipendio, “quota 103” offrirà due possibilità: lasciare il lavoro e intascare una pensione pari a 1.500 euro al mese; oppure certificare il diritto a quella pensione (di 1.500 euro) e continuare a lavorare, ricevendo un aumento netto in busta paga di 19 euro mensili (il corrispondente del 33% di contributi non versati dal lavoratore e dall’azienda). La terza chance (ignorare “quota 103” e continuare a lavorare) vuole dire rinunciare a 19 euro (il premio), ma conservare un accredito di contributi che, su cinque anni (distanza da 62 a 67 anni fissate, l’età fissate per pensionarsi), si trasforma in un aumento della pensione di 185 euro al mese.

Quota 103 a due vie. Fotocopia della misura di prepensionamento in vigore da vari anni (“quota 100” per il triennio 2019/2021 e “quota 102” per l’anno in corso), consentirà ai lavoratori iscritti all’Inps, inclusa la gestione separata, di mettersi a riposo all’età di almeno 62 anni e un’anzianità di contributi di almeno 41 anni (62 + 41 = 103). Sarà operativa dal 1° gennaio al 31 dicembre del prossimo anno, ma con la possibilità, come già esiste per le altre versioni (quote 100 e 102), di spendere il diritto alla pensione anche successivamente al 2023, purché la maturazione dei requisiti sia avvenuta entro il 31 dicembre 2023.

Pensione o lavoro con premio. La bozza di Manovra 2023, oltre a riproporre il prepensionamento, prevede una seconda via sempre a chi possa fruire di quota 103. La via alternativa è: certificare il diritto alla pensione, nell’importo maturato alla data dell’opzione; rinunciare all’accredito contributivo per la pensione; non pagare più i contributi per la pensione: non il lavoratore (9,19% in genere) e neppure l’azienda (la differenza tra 33% e l’aliquota pagata dal lavoratore; in genere 23,81%); intascare i contributi che l’azienda avrebbe dovuto versare all’Inps (cioè il 23,81%). A questo punto, la scelta di chi ha maturato o nel prossimo anno maturerà 41 anni di contributi e un’età di almeno 62 anni sarà fra tre opzioni possibili (e non due, come è stato con le altre “quote”):

– fruire di quota 103 e mettersi subito in pensione (alle previste condizioni, tra le quali la “finestra” di attesa per la prima liquidazione);

– fruire di quota 103; continuare a lavorare; rinunciare all’accredito dei contributi per la pensione (quindi pure al relativo aumento di pensione); intascare un “premio” in busta paga pari all’importo dei contributi per la pensione cui si è rinunciato (33%) che l’azienda e lo stesso lavoratore non devono pagare all’Inps;

– continuare a lavorare, senza fruire di quota 103, continuando a maturare la pensione che, così, nel tempo crescerà d’importo (si tenga conto che, se si maturano i requisiti entro la fine dell’anno 2023, quota 103 potrà essere invocata anche negli anni successivi).

In tabella in pagina è riportato un esempio per un lavoratore di 62 anni alle prese con la scelta. Si immagina che non abbia voglia di mettersi a riposo e che abbia una retribuzione mensile di 2 mila euro: i calcoli suggeriscono che la cosa più conveniente per lui è restare a lavoro senza optare per il premio di retribuzione. Farlo, infatti, significherebbe avere un aumento netto in busta paga di 19 euro mensili, ma rinunciare a un aumento di pensione di 185 euro mensili a distanza di cinque anni. Questo deriva dal fatto che sul “premio” vanno pagate le tasse, a differenza del “bonus Maroni”, al quale è stato equiparato, quando il “superincentivo” è stato, invece, esente dal punto di vista fiscale.

Come è andata con il bonus Maroni. Fu chiamato “superincentivo”. Spettava ai lavoratori con diritto alla pensione di anzianità, nel caso in cui decidessero di rinviare il pensionamento siglando un nuovo contratto di lavoro: per il rinvio della pensione, ottenevano in busta paga i contributi destinati alla pensione (allora la misura era 32,70%, oggi è salita al 33%), in regime di esenzione fiscale. Il superincentivo è scaduto alla fine dell’anno 2007 e, stando ai dati Inps, dal novembre 2004 ha visto presentate 104.031 domande, delle quali 96.564 accolte di cui 85.258 a uomini e 11.306 a donne. Quanto ai settori d’appartenenza, il 58,65% dei lavoratori (51.685) apparteneva all’industria, il 17,26% al commercio, il 13,06% al credito, l’8,18% agli enti pubblici, il 2,21% all’artigianato, lo 0,37% all’agricoltura, lo 0,26% classificati come altro. Il 60% di coloro che hanno percepito il bonus aveva un reddito annuo compreso tra 20 mila e 50 mila euro; un quarto compreso tra 20 mila e 30 mila; l’8,3% oltre 100 mila euro e quasi il 5% nella fascia tra 80 mila e 100 mila. Con riguardo alla ripartizione geografica il 23,5% era in Lombardia, il 12,3% in Lazio, l’8,15% in Piemonte, l’8,62% in Emilia Romagna, l’8,07% in Veneto; il 5,84% in Campania e il 4,65% in Sicilia. Il superincentivo Maroni è servito a ritardare il pensionamento? A valutare i dati delle nuove pensioni di anzianità liquidate negli anni in cui era in vigore il bonus, il loro numero è stato, più o meno, lo stesso del tempo precedente, il che spinge a ritenere che il beneficio sia stato fruito da persone che già avevano fatto la scelta di restare al lavoro o che l’avrebbero fatta comunque, anche senza avvalersi del bonus.

Chi, come e quando beneficia di quota 103
Possono avvalersi del prepensionamento con “quota 103 tutti i lavoratori, dipendenti e autonomi, inclusi i parasubordinati (co.co.co., professionisti senza cassa e altri lavoratori iscritti alla gestione separata dell’Inps), del settore privato e pubblico. Per espressa previsione, invece, sono esclusi: personale militare delle Forze armante; personale delle Forze di polizia e polizia penitenziaria; personale operativo del Corpo nazionale dei vigili del fuoco; e personale della Guardia di Finanza.

Utilizzabile il cumulo contributivo. Ai fini del conseguimento del diritto alla pensione con quota 103, chi risulti iscritto a due o più gestioni previdenziali dell’Inps (sono escluse le casse di previdenza dei professionisti), può cumulare gli anni di contribuzione che ha maturato presso le singole gestioni, purché relativi a periodi non coincidenti. La facoltà è concessa in base alle regole del cosiddetto cumulo contributivo.

Le finestre. Con quota 103 operano le “finestre”: la decorrenza della pensione, cioè, è ritardata rispetto al momento di maturazione del diritto. In particolare, sono previste le seguenti decorrenze:

– dopo tre mesi dalla maturazione dei requisiti, per i lavoratori del settore privato; che vuol dire, in particolare, decorrenza dal 1° aprile 2023 per quelli che maturano quota 103 entro il 31 dicembre 2022;

– dopo una finestra di sei mesi dalla maturazione dei requisiti, ma non prima del 1° agosto 2023, per i dipendenti pubblici.

I dipendenti pubblici devono formulare domanda di collocamento a riposo con preavviso di sei mesi. Per i lavoratori del comparto scuola (dirigenti scolastici, docenti e personale tecnico, amministrativo e ausiliare) e del comparto Afam (Alta formazione artistica musicale e coreutica) valgono le regole ordinarie (art. 59, l. n. 449/1997). Ossia, la cessazione dal servizio e la decorrenza della pensione hanno effetto dalla data d’inizio dell’anno scolastico o accademico dell’anno in cui vengono maturati i requisiti.
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