Idati provvisori del terzo trimestre hanno sorpreso per la tenuta dell’economia italiana. È rimasto ancora particolarmente positivo il dato tendenziale: la crescita rispetto al terzo trimestre del 2021 è stata del 2,6%, con un incremento acquisito nell’anno del 3,9%: sarebbe stato davvero difficile fare e soprattutto immaginare di fare meglio. C’è stato invece il rallentamento della crescita congiunturale rispetto a quella registrata nel trimestre precedente, decelerando dal +1,1% allo +0,5%. Il ritmo di crescita si è dimezzato, ma è stato ancora assai vivace .

La frenata è stata registrata nei comparti dell’agricoltura e dell’industria: nel primo caso, in genere, il terzo e il quarto trimestre sono di gran lunga i migliori dell’anno, mentre il primo e il secondo sono i peggiori. Al contrario, per l’industria, il terzo trimestre è sempre il più fiacco: pesa infatti la chiusura degli impianti per le ferie estive.

È troppo scarna la stima preliminare fornita dall’Istat per individuare le ragioni di questi andamenti su cui possono aver influito ragioni meteorologiche in agricoltura ovvero i maggiori costi energetici nell’industria: meglio sospendere del tutto la produzione piuttosto che lavorare a ritmo ridotto con costi fissi elevati.

Hanno tirato i servizi, ma anche qui è un dato che risente della forte stagionalità di tante attività legate al turismo, soprattutto dopo due anni trascorsi a marce ridotte per via della epidemia: basta ricordarsi delle raccomandazioni sulle distanze minime tra gli ombrelloni sulle spiagge per capire che sono stati anni davvero tremendi. Può esserci stato un effetto di rimbalzo, anche per quanto riguarda l’affluenza di turisti stranieri, così come ha dato un contributo rilevante la tenuta dei settori legati alle ristrutturazioni edilizie per via delle consistenti agevolazioni fiscali. I tempi stringenti per gli adempimenti hanno fatto accelerare lavori e consegne: tutti hanno lavorato a pieno ritmo.

È stata altrettanto netta la tendenza negativa delle esportazioni: l’euro basso non è stato sufficiente a compensare le troppe incertezze sui mercati mondiali. E in Europa non c’è aria di baldoria. Sono illuminanti, al riguardo, i confronti con i dati analoghi degli altri Paesi europei: con il citato +0,5% congiunturale, l’Italia stavolta ha fatto assai meglio della media, pari al +0,2%. La Francia e la Spagna sono cresciute dello 0,2% mentre la Germania ha fatto appena un po’ meglio della media, crescendo dello 0,3%. Anche dal punto di vista tendenziale, il +2,6% dell’Italia è più elevato del +2,4% della media dell’Unione europea e del +2,1% della media dell’Eurozona. La Francia, per esempio, ha messo a segno solo un modesto +1% rispetto all’anno precedente, mentre la Germania ha fatto il +1,1%.

Va rilevato che mentre l’Istituto di statistica francese ha dato conto di un rallentamento delle esportazioni, con un contributo alla crescita negativo per lo 0,5% del pil, dalla Germania arrivano ancora segnali positivi, anche se le importazioni sono cresciute in volume più velocemente delle esportazioni: c’è un tema di accumulazione delle scorte che potrebbe aver turbato significativamente i flussi.

Emerge inoltre una valutazione più generale: l’Italia ha finalmente consolidato il recupero rispetto alla situazione pre-crisi pandemica, rispetto alla fine del 2019, anche se è ancora assai lontana rispetto ai livelli di 15 anni fa. Nei conti trimestrali, commisurati ai prezzi 2015, il secondo trimestre di quest’anno ha segnato un valore del pil ancora pari a 436 miliardi di euro rispetto ai 453 miliardi del primo trimestre del 2008. Dopo la breve caduta del pil nel 2009, a seguito della crisi americana, c’è stato il duro consolidamento fiscale del biennio 2012-2013 e poi la faticosa risalita fino al 2019, cui sono seguiti altri diciotto mesi di contrazione, tra la fine del 2019 e la seconda metà del 2021, per la crisi sanitaria. Da quest’ultima ne siamo venuti fuori.

Dai dati positivi dell’Italia, migliori rispetto a quelli del resto dell’Europa, traspare una sorta di mitridatizzazione dei comportamenti sociali rispetto agli eventi di crisi, che si ripetono così tanto frequenti da averci quasi fatto l’abitudine. Perfino l’allarmato preannuncio di inverni al gelo, non solo il prossimo ma ancor più quello del 2024, o addirittura al buio per via dei possibili razionamenti o del pericolo di distacchi improvvisi delle forniture elettriche, ha indotto comportamenti decisamente sorprendenti in termini di reattività positiva: c’è chi si compra stufe, chi va alla ricerca di carburanti alternativi, chi fa doppia scorta di legna. E non è affatto un atteggiamento da ultima spiaggia ma una sana attitudine a convivere con l’incertezza.

Ciò che è stato tanto deprecato dell’italico costume, l’ossessione per la casa di proprietà e l’ambizione di averne una seconda al mare o in montagna, così come il risparmio tenuto in banca anche se a interessi zero piuttosto che impiegato in investimenti ad alto rendimento e alto rischio, stanno tenendo in piedi il sistema economico e sociale.Pochi debiti e tanti sacrifici, senza sceneggiate in piazza: una volta tanto, senza strafare e nonostante i bollettini quotidiani che annunciano bufera, sembra che l’Italia non abbia nessuna voglia di naufragare nella paura. (riproduzione riservata)

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