RIALZO DEL COSTO DEL DENARO RISCHIOSO SOPRATTUTTO PER LE PMI: L’ALLARME DI AZIENDE E OPERATORIdi Tancredi Cerne
Nove miliardi di euro. È questo il peso che dovranno sopportare le imprese italiane nei prossimi 12 mesi a seguito dell’aumento dei tassi di interessi da parte della Bce che si tradurranno in un aggravio degli oneri sui prestiti esistenti. L’allarme è stato lanciato dall’ufficio economico di Confesercenti all’indomani della decisione della Banca centrale europea di fine ottobre di continuare nella politica monetaria restrittiva incrementando, in un solo colpo, il costo del denaro dello 0,75% portando i tassi al 2%.

«Si tratta di un comportamento statutariamente coerente, ma dubitiamo che sia lo strumento più efficace in questo momento, soprattutto con questi ritmi di aumento, visto che la domanda è già compressa e l’incremento dei prezzi è dovuto principalmente al lato dell’offerta», hanno sottolineato gli esperti di Confesercenti alle prese con la spirale inflazionistica, il rallentamento dei consumi e la crisi energetica. Una tempesta perfetta che rischia di mettere in ginocchio il sistema produttivo della Penisola. Preoccupazioni confermate dagli stessi protagonisti del comparto creditizio che, attraverso la Fabi (Federazione autonoma bancari italiani) hanno mostrato timori per la tenuta del sistema del credito. «A distanza di neanche due mesi dalla prima mossa della Bce, e in uno stato di vulnerabilità economica ormai diffusa, la rapidità con cui si sta realizzando il piano record dei tassi dell’Eurotower comincia a generare un clima di sfiducia, con forti implicazioni sociali e finanziarie per famiglie ma anche per le imprese», hanno sottolineato i vertici della Fabi secondo cui il livello dei mutui potrebbe facilmente arrivare al di sopra del 5% nei prossimi mesi.

I timori del mondo imprenditoriale sono tuttavia inconciliabili con il target della Banca centrale che non si è detta pronta a fare sconti a nessuno pur di recuperare l’obiettivo principale del suo mandato. «Dovremo innalzare i tassi su livelli che ci permetteranno di conseguire il nostro target di un’inflazione a medio termine del 2%», ha tagliato corto la presidente della Bce, Christine Lagarde. «La meta finale del percorso dei tassi di interesse è chiara, ma non l’abbiamo ancora raggiunta. L’inflazione nell’area dell’euro è di gran lunga troppo elevata e per la prima volta ha raggiunto un valore a due cifre in ottobre», ha rimarcato il numero uno dell’Eurotower. «La combinazione degli shock che stiamo affrontando, guerra, energia, turbative delle catene di approvvigionamento, riallocazione della domanda, implica che l’inflazione si manterrà probabilmente al di sopra del nostro obiettivo per un certo periodo».

Il risultato è un continuo, ineluttabile aumento dei costi di finanziamento da parte delle imprese.

La conferma è contenuta nella mappatura dell’indicatore composito del costo del finanziamento per le imprese in Europa elaborata dalla stessa Bce che ha mostrato, tuttavia, un elemento poco noto: l’Italia, insieme alla Francia, è uno dei Paesi con il costo dell’indebitamento bancario più basso del Vecchio continente. Se è vero, infatti, che gli interessi sui mutui alle imprese sono passati dall’1,32% del mese di settembre del 2021, al 2,08% di un anno più tardi, con un incremento del 55%, è vero anche che lo stesso trend si è tradotto in costi di finanziamento ben più alti nel resto d’Europa. A partire dalla Grecia o dall’Irlanda dove l’indicatore composito del costo del finanziamento per le imprese si è portato a ridosso del 4%, un punto percentuale in più rispetto al Portogallo e l’1,6% al di sopra della media comunitaria.

Valori più alti che in Italia anche in Spagna (2,32%), Belgio (2,42%) e Germania (2,79%) mentre la Francia si è posizionata esattamente in linea con lo Stivale.

Meglio di noi, soltanto Austria e Olanda (2%) e il Lussemburgo (2,04%). Valori questi, che tuttavia non tengono conto, ancora, dell’ultimo aumento dei tassi di 75 punti base. «Buona parte dei finanziamenti aziendali sono a breve termine e sono agganciati al tasso euribor», ha sottolineato Angelo Spiezia di Superimpresa, la divisione di Telemutuo, di cui Spiezia è amministratore delegato, specializzata nel credito alle imprese.

«Negli ultimi mesi l’Euribor è aumentato del 2%, passando da -0,50% all’1,50%. Per ovvie ragioni i finanziamenti alle imprese non hanno mai potuto avere un tasso negativo, e quindi il rialzo dei tassi, per il momento è stato dell’1,50%».

Secondo Spiezia, nel giro dei prossimi mesi il rialzo del costo del denaro è destinato a generare un impatto significativo sulla capacità di finanziamento delle imprese, soprattutto nel caso delle piccole e medie aziende.

«Questo problema, oggi ancora molto limitato, dovrebbe aumentare nei mesi a venire a seguito dei nuovi interventi di politica monetaria restrittiva da parte della Bce», ha aggiunto Spiezia. «Si tratta di un problema molto serio per la produttività del nostro paese e per la capacità di stare al passo con la crescita delle società concorrenti presenti in altri Stati esterni alla zona euro. La contrazione del credito interesserà infatti per lo più gli investimenti aziendali e con questi, la capacità di innovazione del sistema Paese».

In una situazione quantomai complicata è arrivata però una buona notizia. Superata l’emergenza liquidità che aveva colpito le imprese italiane durante la fase più critica della pandemia inducendole a incrementare la provvista di credito, negli ultimi tre mesi il numero di richieste di finanziamenti da parte delle aziende ha fatto segnare una flessione del 4,6% rispetto al terzo trimestre del 2021.

Stando ai dati elaborati dal Crif, questa dinamica ha interessato per lo più imprese individuali che, tra luglio e settembre hanno ridotto dell’11,9% le richieste di credito, mentre quelle provenienti da società di capitali si sono mantenute stabili (-0,8%).

Allo stesso tempo, tuttavia, l’importo medio richiesto ha segnato una decisa accelerazione (+18,45%) arrivando a toccare i 123.691 euro.

«Per le imprese individuali, spina dorsale del tessuto produttivo italiano, l’importo medio dei finanziamenti richiesti è risultato pari a 36.374 euro. In calo del 2,6% rispetto al terzo trimestre del 2021 mentre le società di capitali hanno richiesto in media 163.891 euro pari al +17,7% se confrontato con un anno prima», si legge nel Barometro del Crif che è andato oltre passando in rassegna le differenze riscontrate all’interno dei diversi comparti dell’economia.

Si scopre così che i volumi più elevati di finanziamento sono stati richiesti dalle imprese dei servizi con quasi un quarto (23,7%) del totale delle domande di credito.

Al secondo posto il settore del commercio, con il 23% delle richieste, a conferma di quanto l’erosione dei margini stia accentuando il bisogno di liquidità. Gradino più basso del podio per le aziende operanti nel settore delle costruzioni e infrastrutture con il 17,9% delle richieste di credito presentate dalle imprese in quest’ultimo trimestre (+1,7% rispetto al terzo trimestre 2021). Medaglia di legno di questa classifica per il settore manifatturiero con il 10,9% del totale delle richieste di credito.

Le aziende produttive, secondo Crif, si trovano infatti ad affrontare le criticità legate alla difficoltà di approvvigionamento delle materie prime e all’impennata dei costi dell’energia che le dovrà portare già nel prossimo futuro a valutare piani di investimento per far fronte alla necessaria transizione ecologica e diminuire così la dipendenza dai combustibili fossili. «Questa dinamica riflette le prospettive creditizie previste in peggioramento e l’esigenza di nuova finanza anche a causa del progressivo venir meno delle misure straordinarie che avevano sostenuto il comparto nel 2021», hanno avvertito gli analisti di Crif secondo cui, nel complesso, i settori che presentano una minore incidenza sul totale delle richieste di credito sono quelle in grado di generare cash flow per loro stessa natura gestendo per esempio beni di prima necessità come nel caso del comparto farmaceutico.
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