Paola Valentini
I family office sono un termometro dell’economia. Le scelte di gestione di questi investitori che curano i patrimoni delle grandi famiglie tendono a anticipare le dinamiche più importanti a livello globale. Nel suo primo report globale sui family office, pubblicato questa estate, Goldman Sachs riferiva che molti di loro a livello mondiale prevedevano di incrementare il rischio alla ricerca di rendimenti più elevati, temendo un aumento dell’inflazione: «Oltre la metà degli intervistati a livello globale sta aumentando l’allocazione in azioni», spiegava lo studio. E l’Italia non fa eccezione.

«I family office si stanno adattando velocemente a uno scenario in forte evoluzione e non solo per l’incertezza derivante dai mercati finanziari», si legge nella Survey 2021 di Pwc che ha intervistato 36 tra i più importanti family office con sede legale in Italia e nella Svizzera italiana. «Il fatto di essere investitori senza mandato e senza un focus di impiego del capitale, ad esempio, ci permette di spostarci rapidamente verso gli asset con un outlook più promettente», spiega Fabrizio Arengi Bentivoglio, ad di Fidia Holding, family office creato dalla famiglia Arengi Bentivoglio, dopo aver ceduto anni fa la Fidia Farmaceutici di Padova di cui era storica azionista. Fidia Holding, pur essendo di diritto italiano, è basata a New York e ha uffici anche a Milano, Londra e Padova. «Siamo usciti dagli hedge fund qualche anno fa per fare investimenti diretti concentrandoci su un numero contenuto di aziende per avere un maggiore coinvolgimento nella governance, in questo momento vediamo opportunità nel food», aggiunge Arengi Bentivoglio che oggi nei mercati finanziari punta anche sul trading valutario e in particolare sul rafforzamento del dollaro.

Il passo fatto dalla famiglia Arengi Bentivoglio è un esempio che oggi viene visto con molto interesse dagli imprenditori. «Spesso mi chiedono un consiglio perché chi ha patrimoni importanti, e in Italia sono molti, ha capito che è necessario avere una maggiore organizzazione nella gestione della propria ricchezza. Si sta quindi diffondendo sempre più l’approccio del family office come un modo per seguire in maniera strutturata risorse precedentemente considerate più come risparmio che investimento vero e proprio», spiega Arengi Bentivoglio. Anche in Italia, come già da tempo nel mondo anglosassone, le grandi famiglie si pongono il quesito di come amministrare le risorse private, quelle cioè che esulano dall’azienda, dal core business, ma che riguardano più propriamente i propri membri. Una conferma arriva anche da Deloitte che nel 2018 ha lanciato il brand Deloitte Private per fornire servizi ai family office. «Guardando al più ampio contesto europeo secondo il nuovo studio di Campden Wealth il mercato dei family office è in rapida espansione. Nel nostro portafoglio di imprese sempre più nuclei hanno intenzione di separare gli affari di famiglia dall’impresa famigliare e quindi creano o si approcciano a strutture che le possano servire in modo specializzato in ambiti che non sono quelli tipici della gestione industriale o commerciale», commenta Ernesto Lanzillo, responsabile di Deloitte Private. Esigenze che possono nascere, come nel caso di Fidia, al momento della vendita dell’azienda, un evento che in questi anni è sempre più comune in Italia, complici anche passaggi generazionali non semplici.

Non a caso il numero di family office italiani continua a crescere. «Nel 2020 abbiamo registrato 24 entrate e quattro uscite, portando il numero totale da 143 a 163 alle quali fanno capo asset pari a oltre 86 miliardi di euro», afferma Marco Mazzoni, curatore dell’indagine annuale di Magstat sul private banking e i family office italiani. Dalla Survey 2021 di Pwc risulta che per metà dei intervistati il liquidity event derivante dalla vendita dell’azienda di famiglia sia stato il motivo principale che ha contribuito all’istituzione della struttura, mentre per il 23% l’esigenza di costituire un single family office deriva da necessità connesse alla successione.

Viceversa, la maggior parte dei multi-family office (59%) è nato grazie all’iniziativa di un singolo o di un team di professionisti. Il mercato infatti si divide in due: da una parte i family office singoli che servono una sola famiglia (in Italia Magstat ne conta 48), e dall’altra quelli che offrono i loro servizi a più famiglie (115) e derivano dall’evoluzione di un family office che all’origine era single oppure, e sono la maggiora parte in Italia, ad opera di ex top manager nel settore finanziario, consulenti, legali, commercialisti, con l’intento di fornire a una base ristretta di clienti facoltosi servizi personalizzati e liberi da conflitti di interesse. Altri invece sono di emanazione bancaria (Mps Family Office, Ubs Family Office), oltre alle fiduciarie (25) che offrono servizi di family office. La maggior parte dei family office singoli gestisce asset inferiori a 250 milioni, mentre i multi partono in media da oltre 500 milioni. In Italia, rileva Magstat, ci sono anche 41 private bank con competenze nell’ambito del family office (ad esempio nelle grandi banche italiane) e 17 family office esteri che fanno riferimento a famiglie italiane.

Tra questi ultimi ad esempio ci sono la Fedesa dei Ferrero (Montecarlo), Elystone Capital (Ginevra) di Francesco Trapani, la Luleo Lux dei Malacalza (Lussemburgo), la svizzera Planyx di Carlo De Benedetti, la Intermarket dei Branca (a Mendrisio), fino alla più nota Delfin di Leonardo Del Vecchio in Lussemburgo. La maggior parte delle strutture di single-family office italiani ha scelto la forma giuridica di società di capitali, quindi spa o srl, mentre diverse strutture indipendenti hanno ritenuto sufficiente aprire uno studio associato. Tra i family office si possono includere le casseforti di famiglia come ad esempio H14 di Luigi, Barbara ed Eleonora Berlusconi, la Lir di Mario Moretti Polegato (Geox) o Laprima Holding di Sergio e Luciana Loro Piana, la Nuova Energia Holding di Pierluigi Loro Piana, la B&D Holding dei Boroli & Drago (gruppo De Agostini), la Hofima della famiglia Malacalza. Si configura come un family office anche la Norfin che fino al 2003 era la holding industriale del gruppo De Nora. Mentre a Nerio Alessandri, patron della Technogym, fa capo la finanziaria Alfin che dallo scorso anno detiene tutti gli investimenti dell’imprenditore al di fuori della quotata.

Il panorama insomma è molto variegato e se si tiene conto che quello dei family office è un mondo in cui la riservatezza è la cifra distintiva, non è sempre facile capire quali sono e a chi fanno riferimento le strutture italiane. Tra i single family office si annoverano oltre a Fidia Holding, anche Mais della famiglia Seragnoli di Bologna, mentre si sta aprendo il Gruppo Fiduciario Orefici della famiglia Vedani, uno dei maggiori con oltre 2 miliardi di asset. Tra i multi-family office figurano Consultique (famiglia Armellini) e Cfo, tipico esempio dell’evoluzione di queste boutique essendo stata costituita per iniziativa della famiglia Caraceni. Non sono più single nemmeno la Secofind (Zambon), Blue Family Office, società inglese con sede anche in Italia (famiglia Sommariva) e 81 Family Office (fondata dalla famiglia vicentina Cavalcante). Ha operato sempre come multi family office la Tosetti Value, sim con oltre 5 miliardi di masse, nata su input di Dario Tosetti, noto commercialista di Torino. Mentre a Milano c’è la Gisev (dall’unione della famiglia di commercialisti Severgnini con la famiglia Giuliani). E’ stata invece creata nel 2009 dall’ex ad di Secofind (Manuela Mezzetti), la Mezzetti Advisory Group. Tra le principali fiduciarie con family office figurano Spafid (Mediobanca), Sella Fiduciaria (Banca Sella) e Unione Fiduciaria (banche popolari) da cui lo scorso anno, dopo 22 anni, è uscito l’ex dg Fabrizio Vedana, per diventare ad di Across Family Advisors, multi-family office di Milano nato nel 2020 e fondato da Rossano Ruggeri. (riproduzione riservata)
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