Carlo Giuro
Si sta definendo la mappa aggiornata dei canali di pensionamento. I due fattori dirimenti sono rappresentati dal disegno di legge di bilancio e dal decreto del ministero dell’Economia che sancisce, recependo la rilevazione dell’Istat sulla evoluzione della speranza di vita, che non si modificano anche per il biennio 2023-24 i requisiti di pensionamento previsti nel 2021-22. Il riferimento è all’adeguamento automatico dell’età pensionabile alla aspettativa di vita che rappresenta, unitamente alla revisione periodica dei coefficienti di trasformazione del metodo di calcolo contributivo, un fondamentale fattore di stabilizzazione della spesa pensionistica nei confronti dell’invecchiamento tendenziale del Paese e dell’intera Ue.

Come si delinea il percorso di pensionamento coi nuovi provvedimenti? Partendo dalla pensione di vecchiaia i requisiti rimangono fino al 2024 pari a 67 anni di età e 20 di contributi (66 anni e 7 mesi per i lavoratori che abbiano svolto una o più delle attività considerate gravose o che siano stati addetti alle lavorazioni particolarmente faticose e pesanti, e che siano in possesso di un’anzianità contributiva pari ad almeno 30 anni). Rimane ugualmente immutato con riferimento ai lavoratori precoci, coloro cioè che possono contare su almeno 12 mesi di contribuzione versata prima del compimento del 19° anno di età, il requisito contributivo dei 41 anni, indipendentemente dall’età.

C’è poi il canale del pensionamento anticipato i cui requisiti sono rappresentati dall’avere un’anzianità contributiva di 42 anni e 10 mesi per gli uomini e 41 anni e 10 mesi le donne indipendentemente dall’età. Si prevede però una finestra trimestrale. Tali requisiti, salve modiche normative, rimangono immutati fino al 2026. Nel disegno di legge di bilancio poi si introduce per il solo 2022 un nuovo canale di flessibilità in uscita che prevede il combinato disposto di 64 anni di età e 38 anni di contributi, la famosa quota 102, con la previsione di una finestra trimestrale per dipendenti privati e autonomi e semestrale per i dipendenti pubblici. La finalità è quella di evitare il generarsi di scaloni dai 62 ai 67 anni di età il prossimo anno.

Si prevede ancora la conferma, anche per il prossimo anno, di opzione donna per le lavoratrici che maturano i requisiti anagrafici, almeno 58 anni di età per le lavoratrici dipendenti e almeno 59 anni per autonome, nonché contributivi (almeno 35 anni) entro il 31 dicembre 2021. Va ricordato come in opzione donna si prevede, una volta raggiunti i requisiti anagrafico e contributivo, una finestra mobile, pari a 12 mesi per le lavoratici dipendenti e 18 mesi per le autonome. La pensione però è calcolata interamente con il controbutivo.

Anche con riferimento ai lavoratori che rientrano nell’applicazione integrale del metodo di calcolo contributivo, coloro che sono stati cioè assunti dal 1° gennaio 1996, rimangono immutati i requisiti. Per accedere al trattamento di quiescenza è necessario non solo raggiungere il requisito anagrafico (67 anni) e contributivo (20 anni) ma avere anche maturato un assegno uguale o superiore a 1,5 volte la pensione minima. Nell’ipotesi in cui non si dovessero raggiungere tutti i paletti si slitterebbe a 71 anni, quando l’assegno viene erogato con almeno 5 anni di versamenti. Si prevede ancora un canale di pensionamento anticipato con il requisito anagrafico di 64 anni con 20 anni di anzianità contributiva e un importo però di assegno uguale o superiore a 2,8 volte la pensione minima.

Va però sempre tenuto presente che nel sistema di base con il metodo contributivo andare in pensione più tardi significa versare più contributi elevando il montante da convertire in rendita. Al contempo a età pensionabili più elevate corrispondono coefficienti di trasformazione più convenienti.

E la previdenza complementare? Le forme pensionistiche integrative possono intendersi come una sorta di binario parallelo rispetto alla previdenza obbligatoria. Così come chiarito dalla Covip, la Commissione di vigilanza sui fondi pensione, gli iscritti alle forme pensionistiche complementari conseguono il diritto alla prestazione di previdenza al momento della maturazione dei requisiti di accesso alle prestazioni stabiliti nel regime obbligatorio di appartenenza, con almeno cinque anni di partecipazione, prescindendo dall’effettiva erogazione della pensione obbligatoria. Vi è quindi un collegamento diretto tra la disciplina della previdenza complementare e quella obbligatoria, senza peraltro richiedere, ai fini del conseguimento della prestazione complementare, l’effettiva liquidazione del trattamento di base. Si condiziona infatti il diritto alla prestazione pensionistica complementare alla maturazione dei requisiti di accesso alle prestazioni di previdenza obbligatoria, senza prevedere alcun collegamento tra le decorrenze dei due diversi trattamenti. Quando quindi una modifica normativa eleva l’età pensionabile nel pilastro di base si procrastina in avanti anche il momento della percezione della rendita del fondo pensione. Questo determina l’opportunità per l’iscritto, particolarmente se l’incremento cumulato nel tempo è consistente, di valutare l’ampliamento dell’orizzonte temporale di permanenza sia in termini di accumulazione, con possibili considerazioni sulla contribuzione, che in termini finanziari con riferimento alla linea di investimento nella quale si sia posizionati.

Risulta utile infine sottolineare come sulla base degli orientamenti espressi dalla Commissione l’aderente, anche se ha già conseguito il diritto a richiedere la prestazione di un fondo pensione, può rinviarne la percezione senza scadenze anche proseguendo la contribuzione, in esenzione fiscale, oltre l’età pensionabile a condizione che alla data del pensionamento possa far valere almeno un anno di contribuzione. (riproduzione riservata)
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