LA STRETTA È CONTENUTA NEL DECRETO LEGISLATIVO CHE RECEPISCE LA DIRETTIVA EUROPEA 2018/1673
di Stefano Loconte; e Giulia Maria Mentasti
Reato di riciclaggio a maglie più larghe. È quanto prevede il decreto legislativo che attua la direttiva (Ue) 2018/1673 del Parlamento europeo e del Consiglio del 23 ottobre 2018 sulla lotta al riciclaggio mediante il diritto penale, approvato in via definitiva nei giorni scorsi, che estende l’ambito di operatività dei reati di riciclaggio e di autoriciclaggio attraverso l’ampliamento del novero dei reati presupposto, prevedendo che scattino le manette ogniqualvolta il provento derivi da un delitto, sia esso doloso o colposo e a prescindere dalla pena per esso prevista, nonché da una contravvenzione punita con l’arresto superiore nel massimo a un anno o nel minimo a sei mesi.

Le modifiche al codice penale. Il decreto legislativo che nell’ambito della seduta del 4 novembre scorso ha ricevuto il sì definitivo del consiglio dei ministri, dopo che lo scorso agosto aveva ricevuto dallo stesso il preliminare vaglio positivo ed era stato così trasmesso alla camera dei deputati per i pareri di competenza, attua la direttiva (UE) 2018/1673 del Parlamento europeo e del Consiglio del 23 ottobre 2018 sulla lotta al riciclaggio mediante il diritto penale.Tra le più rilevanti novità apportate dalla riforma, spicca l’estensione dell’ambito di operatività dei reati di riciclaggio e autoriciclaggio e l’inclusione di tutti i delitti e di un ampio numero di contravvenzioni nel novero dei reati presupposto idonei a far scattare le manette laddove se ne ricicli, o autoricicli, il profitto. Infatti, mentre sinora gli artt. 648-bis c.p. e 648-ter.1 c.p. limitavano l’applicazione delle fattispecie penali ai casi in cui il denaro o i beni sostituiti, trasferiti o comunque oggetto di operazioni volte a ostacolare l’identificazione della origine illecita provenissero da delitto non colposo, con questa modifica al codice penale si cancella quest’ultimo requisito e si allarga il catalogo dei reati presupposto: precisamente, lo si estende con il primo comma a tutti i delitti, dolosi e colposi, mentre con il comma successivo alle contravvenzioni punite con l’arresto superiore nel massimo a un anno o nel minimo a sei mesi.

Quanto al trattamento sanzionatorio, per il riciclaggio, se la provenienza è da delitto viene disposta la pena della reclusione da quattro a dodici anni e della multa da 5.000 a 25.000 euro, mentre nell’ipotesi di origine da contravvenzione la cornice edittale spazia tra i due e i sei anni e tra 2.500 e 12.500 euro.

Per l’autoriciclaggio, nel primo caso si applica la pena della reclusione da due a otto anni e della multa da euro 5.000 a euro 25.000; nel secondo caso la cornice è come anticipato dimezzata (con la pena detentiva che va da uno a quattro anni e quella pecuniaria da 2.500 a 12.500 euro).

I riflessi processuali. Trattandosi di riforma che interviene in punto di reato presupposto, è utile fare una precisazione in riferimento all’accertamento dello stesso e alla possibilità di emettere un provvedimento di sequestro preventivo.

Specificamente, la giurisprudenza ritiene che, in sede di riesame di misure cautelari reati, sia precluso al giudice un sindacato sulla concreta fondatezza dell’accusa, e che non gli sia richiesta l’esatta individuazione del delitto-presupposto, essendo sufficiente che lo stesso risulti, alla stregua degli elementi di fatto acquisiti ed interpretati secondo logica, almeno astrattamente configurabile.

Tuttavia, la non necessarietà di un previo accertamento giudiziale del reato presupposto, da cui deriva il potere incidentale del giudice di procedere, anche attraverso un ragionamento indiziario, alla valutazione della sussistenza dello stesso, non è comunque tale da legittimare la mancata individuazione del reato.

Infatti, i giudici della Suprema Corte in più occasioni hanno ricordato che, ai fini della configurabilità del reato di riciclaggio, pur non essendo necessaria la ricostruzione del delitto presupposto in tutti gli estremi storici e fattuali, tuttavia occorre che esso sia individuato nella sua tipologia, rimarcando la necessità che il provvedimento cautelare specifichi la condotta tipica del delitto di riciclaggio oggetto di provvisorio addebito, non potendo essere considerata tale quella del mero possesso di denaro, inidonea ad integrare l’attività diretta alla «sostituzione, al trasferimento, o ad altre operazioni» intese ad occultare la provenienza delittuosa del denaro, non risultando all’uopo sufficiente il richiamo ad indici sintomatici privi di specificità in ordine alla derivazione della disponibilità oggetto di espropriazione e suscettibili esclusivamente di provare un ingiustificato possesso di denaro.

Inoltre, finora non era sufficiente accertare che il fatto dal quale derivano le utilità ripulite fosse integrativo di un illecito penale, genericamente qualificato, potendo assumerne rilievo solo i delitti, peraltro di natura dolosa.

Dunque, pur nel rispetto dei suddetti chiarimenti giurisprudenziali, adesso, con l’estensione del novero dei rati presupposto a tutti i delitti, nonché alla maggior parte delle contravvenzioni, tale limite verrà meno.

I riflessi sulla «231». L’ampliamento dell’ambito di operatività della fattispecie di riciclaggio di riflesso aumenterà i casi di responsabilità (e irrogazioni di sanzioni) non solo nei confronti delle persone fisiche, ma anche delle società, ogniqualvolta la condotta riciclatoria sia posta in essere dai vertici nell’interesse o a vantaggio dell’ente stesso.

Non è stato tuttavia necessario intervenire direttamente con la riforma in esame anche nel testo del dlgs 231/2001.

Infatti, è indiscusso che la direttiva (Ue) 2018/1673 alla quale si è dato attuazione prevede che gli Stati membri adottano le misure necessarie affinché le persone giuridiche possano essere ritenute responsabiliper i reati di riciclaggio commessi a loro vantaggio da qualsiasi persona che detenga una posizione dirigenziale in seno alla persona giuridica stessa, o che sia sottoposta alla autorità della predette, qualora la carenza di sorveglianza o controllo da parte dell’apicale abbia reso possibile la realizzazione dell’illecito.

Tuttavia, è altrettanto vero che la direttiva, pur imponendo sanzioni effettive, proporzionate e dissuasive, ha lasciato ai legislatori nazionale la decisione se la natura delle sanzioni debba essere penale o meno.

Precisazione, quest’ultima, fondamentale per l’ordinamento italiano, posto che il dlgs n. 231/2001, all’art. 25-octies, già ricollega agli enti nel cui interesse sia stato commesso il reato di riciclaggio o autoriciclaggio sanzioni pecuniarie e interdittive allineate alle richieste europee, seppur dopo aver preferito qualificare come amministrativa (dipendente da reato) la natura della responsabilità dell’ente.

Specificamente, in relazione ai reati di cui agli articoli 648, 648-bis, 648-ter e 648-ter.1 del codice penale, si applica all’ente la sanzione pecuniaria da 200 a 800 quote.

Nel caso in cui il denaro, i beni o le altre utilità provengono da delitto per il quale è stabilita la pena della reclusione superiore nel massimo a cinque anni, si applica la sanzione pecuniaria da 400 a 1000 quote.

Dunque, se si considera che per espresso dettato legislativo l’importo di una quota è compreso tra un valore minimo di euro 258 e un massimo di euro 1.549 (fissato sulla base delle condizioni economiche e patrimoniali della persona giuridica allo scopo di assicurare l’efficacia della sanzione), la sanzione pecuniaria per le imprese nel cui interesse o vantaggio siano stati commessi i reati arriva, nella prima ipotesi, fino a 1.239.200 euro; nonché, laddove il reato presupposto sia un delitto la cui cornice edittale superi nel massimo i 5 anni, fino a 1.549.000 euro.

L’art. 25-octies prevede inoltre, in caso di condanna, l’applicazione all’ente anche delle sanzioni interdittive dell’interdizione dall’esercizio dell’attività, della sospensione o della revoca delle autorizzazioni, licenze o concessioni funzionali alla commissione dell’illecito, del divieto di contrattare con la pubblica amministrazione, salvo che per ottenere le prestazioni di un pubblico servizio, dell’esclusione da agevolazioni, finanziamenti, contributi o sussidi e dell’eventuale revoca di quelli già concessi, nonché del divieto di pubblicizzare beni o servizi.
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