IL PUNTO DI MAURO MASI*

In una delle scorse edizioni di questa Rubrica, abbiamo scritto di come il rischio e i costi (per noi italiani entrambi molto elevati) da catastrofi naturali possano essere, in tutto o in parte, traslati dal Bilancio al sistema assicurativo. Avviene in vari Paesi europei e non; da noi se ne discute da tempo nelle sedi politiche e istituzionali. Il mercato, tuttavia, già da tempo ha realizzato un’ulteriore traslazione del rischio catastrofi, da quello assicurativo a quello dei capitali attraverso forme diverse di «insurance securitization» di cui, forse, la più interessante sono i cosiddetti «cat-bonds» (obbligazioni catastrofali). Si tratta di titoli emessi da una compagnia legata a un assicuratore o un riassicuratore, il cui rendimento è legato alla realizzazione di una catastrofe naturale.

La catastrofe viene in particolare equiparata al fallimento di un’impresa e, quando si verifica, l’emittente non restituisce (o restituisce solo parzialmente) il capitale investito. E’ un’obbligazione che ha come sottostante rischio assicurativo, quindi invece di esserci solo il rischio default dell’emittente, c’è il rischio del verificarsi di catastrofi, che sia un’alluvione, una tempesta, un terremoto. L’obbligazione viene emessa a un certo nozionale che viene rimborsato a scadenza (tipicamente a tre-cinque anni) se la catastrofe connessa non si è verificata. In cambio l’investitore riceve una cedola che va dal 2 al 18% su base annuale, a seconda del rischio connesso allo strumento.

Se si verifica l’evento, il nozionale rimborsato sarà inferiore a quello di partenza, perché in parte è stato usato per coprire i danni sofferti dalla compagnia assicurativa sponsor dell’emissione. Si tratta dunque di un modo per riassicurare il rischio. L’obbligazione viene acquistata in prevalenza da investitori professionali (società e fondi specializzati) che hanno così accesso a una asset class decorrelata dai mercati finanziari tradizionali. La compagnia di assicurazione riceve in cambio capacità riassicurativa da operatori diversi rispetto a quelli a cui si rivolge normalmente. L’attrattività di tali strumenti in questo momento è piuttosto elevata perché da un lato, il contesto economico caratterizzato da bassi tassi di interesse rende tali prodotti più attrattivi rispetto agli investimenti a tasso fisso e, dall’altro, la bassa correlazione di tali strumenti con l’andamento del mercato finanziario generale li rende un buon strumento di diversificazione. Tuttavia il limite attuale di tali strumenti è che si rivolgono solo a investitori professionali essendo il rischio molto specifico e il compratore deve avere una cultura altrettanto specifica, anche se sono stati emessi persino da Istituzioni internazionali come la Banca Mondiale (nel 2017 per finanziare il Pandemic Emergency Financing Facility). Da noi sono ancora poco diffusi, pur con significative eccezioni come l’emissione, lo scorso giugno, da parte di Generali di un «cat bond» green da 200 milioni. (riproduzione riservata

*delegato italiano alla Proprietà intellettuale
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