Armando Zambrano
di Michele Damiani
L’equo compenso è un diritto del professionista e non è accettabile che la Pubblica amministrazione possa emettere bandi senza prevedere un corrispettivo per l’incaricato. Con queste parole si apre la nota diffusa ieri da ProfessionItaliane, l’associazione che racchiude al suo interno quasi tutte le categorie attive in Italia, dedicata alla sentenza del Consiglio di stato del 9 novembre sul bando del Mef del 2019 (si veda ItaliaOggi del 10 novembre).
«Una decisione di questo tipo è inammissibile per i professionisti» hanno sottolineato Armando Zambrano e Marina Calderone, rispettivamente presidente e vicepresidente di ProfessionItaliane. «Viene calpestata ancora una volta la dignità dei professionisti che, invece, la Costituzione ha inteso proteggere con l’articolo 36. Consentendo l’applicazione dell’equo compenso solo in alcuni casi, si sceglie di mettere ancora una volta in difficoltà i lavoratori autonomi e di creare una netta distinzione fra professionisti tutelati e altri no. Non è giusto», continua l’Associazione, «sostenere che possano esservi dei lavoratori a cui venga richiesto di prestare la propria opera gratuitamente, perché tutti hanno diritto di trarre dal proprio lavoro i mezzi per il sostentamento per sé e per la propria famiglia, soprattutto in questo periodo in cui si risente degli effetti della pandemia. Ribadiamo, dunque, la nostra contrarietà a qualsiasi forma di quantificazione a zero delle competenze professionali e la necessità di dare maggiore valore ad un principio di civiltà come quello dell’equo compenso».
Proteste anche dal consiglio dell’ordine degli avvocati di Roma, che ha vinto il ricorso contro il bando del Mef ma non per tutte le motivazioni che lo stesso Coa aveva avanzato: «Un conto», le parole del presidente dell’ordine di Roma Antonino Galletti, «è riconoscere la facoltà dell’avvocato di difendere anche pro bono in ossequio anche alla funzione sociale che riveste l’avvocatura, altro è riconoscere che i cosiddetti contraenti forti come amministrazioni, banche ed assicurazioni possano imporre, come nei fatti avviene, le proprie condizioni ai professionisti più fragili, in concreto “costringendoli” a lavorare gratis col miraggio di qualche futuro beneficio».
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