Le assicurazioni sono un’antica passione dei banchieri. Lo sapeva bene il fondatore di Mediobanca Enrico Cuccia che, pur di non perdere la presa sulle sue Generali, ne aveva parcheggiato il 5% nello scrigno di Euralux che Lazard seppe custodire per oltre 20 anni. «Il vero proprietario della partecipazione è in via Filodrammatici», avrebbe sentenziato l’ex presidente del Leone, Cesare Merzagora, verso metà anni ‘80, svelando quello che per la finanza italiana era da tempo un segreto di Pulcinella. La passione di Cuccia ha periodicamente contagiato molti banchieri e oggi l’asse tra istituti e compagnie è tornato a essere un trend dominante nella finanza italiana. Molti dei piani che le banche italiane presenteranno tra novembre e il prossimo mese di febbraio si concentreranno infatti sul business assicurativo, declinandolo secondo paradigmi differenti ma accomunati dalla volontà di sperimentare soluzioni nuove. La scelta del resto non stupisce. Oggi il prodotto assicurativo consente agli istituti di fare margini decisamente più interessanti rispetto al business tradizionale. Inoltre le banche hanno sempre beneficiato di un vantaggio competitivo nel collocamento delle polizze, grazie alla presenza di una forte rete commerciale. Senza contare i potenziali margini di crescita nel ramo danni: se sul vita c’è ormai un concreto rischio di cannibilizzazione, nei prossimi anni gli istituti potrebbero spingere con decisione sul danni non auto che in Italia risulta ancora sottoassicurato. In un contesto di questo genere non sorprende che quasi tutte le maggiori banche italiane siano tornate a guardare con interesse al mondo delle polizze. Non solo. L’evoluzione del quadro regolamentare europeo depone a favore delle strategie di bancassurance. Come riportato la scorsa settimana da MF-Milano Finanza, le nuove norme proposte dalla Commissione Europea potrebbero estendere i benefici del cosiddetto Danish Compromise. Il principio contabile approvato nel 2012 dovrebbe non solo essere reso permanente, ma diventare più appetibile per le banche che vedrebbero scendere la ponderazione delle quote detenute in assicurazioni dal 370 al 250%. Insomma, un assist a stringere ancor di più il legame tra i due settori. Invito a cui già molti gruppi hanno risposto.

La prima a muoversi in ordine di tempo è stata senza dubbio Intesa Sanpaolo. Il gruppo di via Monte di Pietà ha deciso di mantenere all’interno del perimetro le fabbriche assicurative che oggi ne fanno il maggior player italiano in questo ambito con un utile netto di 753,5 milioni e asset under management per 175 miliardi. Grazie alla capacità distributiva del gruppo la divisione guidata da Nicola Fioravanti serve oggi oltre 14 milioni di clienti attraverso 4.000 filiali ed è diventata un pilastro fondamentale per la strategia di Intesa, come ricorda spesso il ceo Carlo Messina. Il piano industriale atteso per febbraio dovrebbe confermare questa strategia che negli anni scorsi è stata potenziata dall’ingresso di 2,5 milioni di clienti ex Ubi e dall’acquisizione di Rbm Salute dalla famiglia Favaretto.

A muoversi in discontinuità rispetto al passato potrebbe invece essere Unicredit. Dopo il suo arrivo al vertice di piazza Gae Aulenti Andrea Orcel ha scelto di ripensare la composizione dei ricavi in vista del piano atteso per il prossimo 9 dicembre. Oggi il gruppo realizza utili complessivi per oltre 140 milioni nel comparto assicurativo ma ha una struttura di partnership molto complessa. Solo in Italia sono in essere cinque joint venture sia nel ramo danni sia nel vita: CreditRas Assicurazioni con Allianz, Incontra Assicurazioni con Unipol, CreditRas Vita di nuovo con Allianz, Cnp Vita con Cnp ed Aviva Vita sempre con Cnp che è subentrata di recente ad Aviva. La sensazione è che Orcel voglia rivedere questo modello all’insegna della semplificazione, magari riducendo il numero di alleati. Al momento non si prevedono iniziative più ambiziose, come il ceo ha lasciato intendere durante l’ultima conference call: «Non credo alle fusioni tra banche e assicurazioni». Risposta che, per ora, ha messo a tacere i rumor di un possibile interesse per le Generali.

Anche Banco Bpm ha scelto di internalizzare l’attività assicurativa, consolidando le compagnie oggi partecipate in partnership con Cattolica e Covea. La scelta annunciata dal ceo Giuseppe Castagna con l’ultimo piano trova il suo razionale negli ampi spazi di crescita in termini di produttività nel Vita e nel Danni e nelle opportunità di proliferare in un mercato ancora poco maturo come quello italiano. Anche il nuovo corso di Bper è basato sulla bancassurance. Il gruppo guidato da Piero Montani vede infatti in Unipol il principale azionista con una partecipazione del 19%, caso sinora unico nel panorama bancario italiano. La compagnia peraltro si è recentemente aggiudicata anche il 9% della Popolare di Sondrio il cui destino sembra quello di entrare presto o tardi a far parte del terzo polo a trazione emiliana.

Senza dubbio il legame più antico e più delicato tra una banca e un’assicurazione sul mercato italiano è quello che da oltre mezzo secolo unisce Mediobanca e le Generali. Un legame su cui, in forza dei 273 milioni di cedole incassate nell’ultimo bilancio e delle modifiche previste al Danish Compromise, la merchant bank potrebbe continuare a scommettere anche nei prossimi anni. Sia chiaro, sulla strategia pendono le incognite derivanti dalle partite di governance in corso, ma è indubbio che la vecchia passione di Cuccia faccia ancora presa sui suoi eredi. (riproduzione riservata)
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