GRAZIE ALLA MAXI-PLUSVALENZA LEGATA ALLA CESSIONE DI PARTNER RE LA EXOR DEGLI AGNELLI-ELKANN È LA HOLDING PIÙ LIQUIDA D’ITALIA
La liquidità non fa difetto ai grandi imprenditori italiani. Basti pensare ai 3 miliardi incassati a metà 2018 dalla famiglia Recordati per la cessione del controllo dell’omonimo gruppo farmaceutico al fondo Cvc. O ai 2 miliardi a disposizione dei fratelli Bulgari dopo la vendita nel 2011 della maison dei gioielli al colosso francese Lmvh. E se l’industriale più ricco del Paese è il «signore della Nutella» Giovanni Ferrero (patrimonio superiore ai 30 miliardi di euro), la cui società capofila, domiciliata in Lussemburgo ha riserve per oltre 10 miliardi, il vero testa a testa, in fatto di disponibilità di capitali nelle casseforti di famiglia, è quello tra Leonardo Del Vecchio (patrimonio totale di Delfin pari a 27,1 miliardi) e John Elkann. Quest’ultimo è difatti il primo socio della società semplice Dicembre (60%) al vertice della galassia industriale che fa riferimento a Exor, la holding quotata ad Amsterdam (capitalizzazione superiore ai 20 miliardi) ai massimi storici grazie soprattutto all’exploit di borsa della partecipata (24,05% pari al 36,82% dei diritti di voto) Ferrari arrivata a un market cap di oltre 44 miliardi. La famiglia di Torino potrà brindare, a metà 2022, alla ricca plusvalenza di 2,3 miliardi di dollari (1,99 miliardi di euro) che incasserà dalla vendita di Partner Re a Covea per 9 miliardi di dollari (7,7 miliardi di euro) e che si andrà ad aggiungere ai 900 milioni di dollari (779 milioni di euro) già incamerati a titolo di dividendi e altre forme di remunerazione. Il guadagno netto in arrivo andrà a sommarsi all’attuale capacità di mobilitazione di risorse di Exor che ammonta a 3 miliardi di euro tra liquidità (2 miliardi) e leva finanziaria (un miliardo). Un firepower totale superiore ai 5 miliardi da destinare a nuove operazioni sul mercato.

Gli Elkann-Agnelli, però, si terranno lontani dalle partite finanziarie e bancarie nazionali puntando su settori in crescita come la moda (541 milioni investiti per il 24% della maison Louboutin e gli 80% per il 77,3% dei diritti di voto di Shang Xia), sul digitale e sul tech (294 milioni spesi per il 16,9% della piattaforma Usa di mobilità Via Transportation oltre alle scommesse sulla danese Welltec, società di servizi petroliferi, e sull’israeliana Quantum Machines). E se l’esborso più immediato per Exor saranno i 255 milioni (75 milioni già anticipati nelle scorse settimane) destinati a garantire pro-quota (63,8%) l’aumento di capitale da 400 milioni della Juventus, arrivando a un esborso di 450 milioni in due anni – a inizio 2019 è stata portata a termine la ricapitalizzazione 300 milioni -, nel futuro della cassaforte degli Agnelli-Elkann potrebbe esserci anche un altro big deal: come riferito da MF-Milano Finanza e MFFashion da mesi circolano rumors non confermati di un possibile interesse all’ingresso nel capitale della casa di moda Giorgio Armani. Maison che da sempre fa gola alle francesi Lvmh e Kering ma che il re delle passerelle, a sua volta seduto su una ricchezza fatta di 992 milioni di liquidità oltre a 2 miliardi di riserve, ha blindato con una fondazione. Un Armani che non ha mai fatto particolari scommesse di borsa ma ha da sempre un sodalizio con Leonardo Del Vecchio, possedendo da anni il 5% di Luxottica che corrisponde al 3% di EssilorLuxottica, oltre all’ingresso nel capitale di The Italian Sea Group di Giovanni Costantino.

Ed è proprio il Paperone di Piazza Affari a essere l’altro mister liquidità italiano potendo contare su 4-5 miliardi di liquidità (il 20% ei 27,1 miliardi di nav di Delfin è rappresentato da attività finanziarie) che in questi ultimi anni ha concentrato in particolare su quella che è la partita strategica decisiva per il mercato italiano, ovvero il futuro di Mediobanca e Generali. Il primo socio di Essilux (32,15%) e Covivio (27,24%) e prossimo alleato, come già anticipato da MF-Milano Finanza lo scorso 19 ottobre, del Vaticano nel difficile processo di risanamento degli ospedali cattolici di Roma, a partire dal Fatebenefratelli sull’Isola Tiberina al quale si andranno poi ad aggiungere l’Idi e il Bambin Gesù, è l’azionista di riferimento (18,89%) della merchant bank di Piazzetta Cuccia, detiene l’1,92% di Unicredit oltre al 5,19% (la quota può lievitare) della compagnia assicurativa di Trieste attesa, nella prossima primavera, al rinnovo del cda e soprattutto dell’amministratore delegato. Quel Philippe Donnet che può contare sul sostegno dell’ad di Mediobanca, Alberto Nagel, ma che oltre a Del Vecchio si trova contro anche Francesco Gaetano Caltagirone. L’immobiliarista, costruttore ed editore romano è l’altro grande protagonista della partita decisiva per le sorti del sistema finanziario. Caltagirone, seduto su una liquidità di 1-1,5 miliardi, ha già messo sul piatto 2,3 miliardi nella costruzione delle posizioni in Generali (la quota sfiora il 7% e può aumentare) e Mediobanca (circa il 3%), oltre ai 700 milioni investiti per le partecipazioni in Acea e Suez.

Coinvolti nella vicenda finanziaria decisiva per l’Italia sono anche i Benetton azionisti sia di Piazzetta Cuccia (2,1%, quota disdettata dall’accordo di consultazione) e nel Leone di Trieste (circa il 4%). La famiglia di Ponzano Veneto al momento non ha preso posizione decidendo di non aderire al patto Del Vecchio-Caltagirone-Fondazione Crt su Generali. E se la priorità degli imprenditori è quella di trovare la nuova guida operativa, oltre a un assetto di comando stabile, per la holding Edizione è altrettanto vero che prima o poi dovranno esprimersi formalmente, magari prima dell’assemblea di aprile della compagnia assicurativa. Per ora non sono previsti ulteriori investimenti nel capitale delle due società tanto più che le partecipazioni sono di lungo termine. Semmai la concentrazione dei Benetton è per lo sviluppo di Atlantia, dopo la cessione della quota di controllo in Autostrade per l’Italia, sull’aumento di capitale da 600 milioni Autogrill (la svizzera Dufree è un soggetto interessato) e sul risanamento dell’omonima azienda d’abbigliamento che dal 2013 ha cumulato perdite per oltre un miliardo. Edizione si è impegnata a garantire nuova liquidità per 300 milioni entro il 2022 a favore di Benetton Group. Può permetterselo grazie a una pfn che a fine anno sarà in equilibrio (le controllate che hanno ottenuto finanziamenti con garanzia Sace non possono distribuire dividendi) rispetto a un saldo positivo di 205 milioni del 2020, potendo poi contare su linee di credito attivabili per più di 500 milioni.

Chi ha, invece, deciso di abbandonare la partita Mediobanca-Generali è la Fininvest dei Berlusconi, che lo scorso mese di maggio ha ceduto il 2% incassando 174 milioni. Una scelta legata alla volontà di concentrare l’attenzione sui core business editoriali Mediaset, nel frattempo migrata ad Amsterdam (ma con cuore operativo a Cologno Monzese) per provare a dare vita a quel prospettato e finora non realizzato polo della tv generalista free che dovrebbe coinvolgere il network tedesco (quota di riferimento del 24,9%) ProsiebenSat.1, e Mondadori che sta cedendo i periodici per puntare tutto sui libri e sul digitale. La cassaforte guidata da Marina Berlusconi con Danilo Pellegrino come ad, che nel mese di ottobre ha visto recapitarsi un assegno da 168 milioni dalla partecipata Banca Mediolanum, alla fine dello scorso anno poteva contare su una liquidità a livello di spa vicina ai 350 milioni (deve garantire capitali al Monza Calcio) e di 844 milioni a livello consolidato. Dove investirà la finanziaria di via Paleocapa? Difficile, al momento, ipotizzare una diversificazione rispetto a media e real estate, il primo amore imprenditoriale di quel Silvio Berlusconi che brama il Colle. Conserva gelosamente in cassa i 400 milioni di disponibilità la Cir dei fratelli Marco, Edoardo e Rodolfo De Benedetti, frutto dell’esito del Lodo Mondadori vinto proprio contro Fininvest. La holding quotata a Milano non ha finora distribuito alcun dividendo straordinario e non pare intenzionata a farlo. La liquidità può servire, in caso, per consolidare il business sanitario (residenze per anziani e riabilitazione) di Kos che nel 2020 valeva 631,6 milioni di ricavi e 46,7 milioni di utile condiviso con l’alleato finanziario F2i. Mentre per Sogefi il futuro può essere lontano da Piazza Affari e al centro di un possibile risiko del settore automotive. (riproduzione riservata)
Fonte: