Non ci sarà nessun aumento dell’età pensionabile sino al 31 dicembre 2024. Conseguenza del mancato incremento della “speranza di vita” dal 1° gennaio 2023. Insomma, sia l’età richiesta per la pensione di vecchiaia che quella dell’assegno sociale restano ferme a 67 anni. La notizia, positiva per gli aspiranti pensionati, arriva dal decreto del Mef (Ministero dell’Economia e delle Finanze) del 27 ottobre (in g.u. n.268/2021), dove viene certificata una variazione Istat negativa (-0,25 di anno, pari a tre mesi), registrata dalla popolazione residente all’età di 65 anni e corrispondente alla differenza tra la media dei valori registrati negli anni 2019 e 2020 e la media dei valori registrati negli anni 2017 e 2018 (per l’effetto del Covid-19).

Cosa dice la norma. La normativa vigente (legge n.122/2010), stabilisce che l’adeguamento dei requisiti per il pensionamento non può essere negativo, per cui, il recente decreto cristallizza per altri due anni gli attuali requisiti. Si tratta complessivamente del quinto adeguamento, dopo i precedenti: più tre mesi nel 2013; più quattro mesi nel 2016; più cinque mesi nel 2019 e nel 2021 (adeguamento nullo). Pertanto, per la seconda volta dopo il biennio 2021-2022, il meccanismo non farà registrare alcun incremento.

Pensione anticipata. Nessuna novità, invece, per la pensione anticipata (l’ex anzianità) che con il d.l. n. 4/2019 (la norma che ha introdotto la pensione “quota 100”) continua a beneficiare dell’esenzione dall’applicazione degli adeguamenti alla speranza di vita sino al 31 dicembre 2026. I requisiti contributivi resteranno dunque pari a 42 anni e 10 mesi di contributi per gli uomini (un anno in meno per le donne). Così dicasi per i richiesti 41 anni, indipendentemente dall’età, per i “lavoratori precoci”, coloro cioè che possono contare su almeno 12 mesi di contribuzione versata prima del compimento del diciannovesimo anno di età. Prestazione che però sconta la “finestra mobile” di tre mesi dalla maturazione dei requisiti. Nulla di nuovo anche per i “notturni” e gli “usuranti” che continuano ad andare in pensione con le vecchie “quote” (di cui al dlgs. n.67/2011). Anche nei loro confronti il legislatore aveva già previsto la sospensione degli adeguamenti sino a tutto il 2026. (riproduzione riservata)
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