Selezione di notizie assicurative da quotidiani nazionali ed internazionali


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Gli investimenti nel 2020 per il 42% delle imprese italiane saranno minori di quanto previsto alla fine dello scorso anno. Per circa la metà di queste imprese la spesa sarà inferiore di oltre un quarto, per una su quattro sarà più che dimezzata, a causa dell’emergenza Covid. E il ridimensionamento riguarda anche i piani di investimento per il 2021. È quanto rilevano gli analisti della Banca d’Italia nell’ambito del sondaggio congiunturale condotto sulle imprese industriali e dei servizi. In base al report, la differenza tra la quota di aziende che investirà in misura maggiore e la quota di chi lo farà in misura inferiore a quanto previsto, pari a -32 punti percentuali, è analoga tra industria e servizi, ma è più sfavorevole tra le imprese con almeno 500 addetti (-40 punti percentuali), che un anno fa avevano indicato previsioni di spesa più espansive rispetto alle altre imprese. Oltre i tre quarti delle aziende che hanno rivisto i propri piani di investimento al ribasso hanno ricondotto la scelta all’incertezza sulle prospettive economiche e politiche e all’evoluzione della domanda.
Chi volesse cedere il credito fiscale maturato dopo interventi di riqualificazione è dinanzi a un bivio. Può, infatti, affidarsi a esperti e tecnici scegliendo tra pacchetti «chiavi in mano» o servizi di documentazione. E in questo contesto assume sempre più un ruolo fondamentale il general contractor, ossia una sorta di contraente unico. Il superbonus 110 entra nel vivo e gli operatori interessati a entrare nel business della maxi-detrazione sono al lavoro per finalizzare partnership e offerte commerciali, che risultano essere particolarmente interessanti per i contribuenti che vogliono migliorare l’efficienza energetica o sismica dei loro immobili.
L’amministratore non risponde verso la società di capitali solo perché ha fatto credito a un cliente che poi è fallito. Ma se la spa prova le reiterate forniture riconosciute senza pagamento, l’organo di gestione non può essere esonerato soltanto perché si è tutelato con una fideiussione: deve invece dimostrare di avere procurato la garanzia di un soggetto solvibile. La condotta addebitata al manager non è in sé vietata dalla legge o dallo statuto: la società deve dunque documentare gli elementi di contesto dai quali dedurre la violazione del dovere di lealtà o di diligenza, di fronte alla quale all’amministratore spetta prova che esclude o attenua la sua responsabilità, indicando le cautele, le informazioni e le verifiche svolte. È quanto emerge dalla sentenza 25056/20, pubblicata il 9 novembre dalla prima sezione civile della Cassazione.
La pandemia contagia anche la rete: il tema Covid-19 è stato usato per sferrare 119 attacchi gravi, nel periodo febbraio-giugno 2020 in tutto il mondo. Si tratta del 14% dei cyber attacchi noti, ossia quelli di dominio pubblico e quindi sottodimensionati rispetto alla realtà, perché non si deve dimenticare che non sempre gli attacchi vengono allo scoperto I criminali hanno sfruttato l’emergenza e hanno attaccato ospedali, truffato i cittadini, bucato i sistemi di aziende e pubbliche amministrazioni. A ulteriore prova della loro pragmaticità: reagiscono con estrema rapidità e non perdono alcuna opportunità per massimizzare i risultati. I primi mesi dell’anno, del resto, con 850 attacchi (il 7% in più rispetto al 2019) possono essere definiti come il «semestre nero» della cybersicurezza: a metterlo nero su bianco il rapporto Clusit 2020, arrivato alla sedicesima edizione (considerando gli aggiornamenti semestrali), presentato al Security Summit Streaming Edition, realizzato dai ricercatori dell’Associazione italiana per la sicurezza informatica. Una tendenza confermata anche dai dati raccolti da Exprivia: dopo il calo dei mesi estivi, l’ultimo Osservatorio Cybersecurity registra nell’ultimo trimestre in Italia 148 attacchi, incidenti e violazioni della privacy, la metà dei quali solo a settembre
In tema di colpa professionale vale il criterio del “più probabile che non” nell’ipotesi di omesso svolgimento di attività che possano in qualche modo recare un vantaggio personale e/o patrimoniale al cliente: è questa la conclusione cui sono giunti i giudici della III sezione civile nell’ordinanza n. 24956/2020, intervenendo sul ricorso di un legale avverso la decisione di merito. In punto di fatto, era accaduto che il professionista era stato condannato in sede di appello per non aver informato il proprio assistito dell’esito negativo della sentenza di primo grado, con ciò impedendogli qualsiasi chance di difendersi o transigere e versare una somma minore; in altre parole erano venuti meno i doveri di diligenza professionale, dal momento che lo stesso libero professionista non si era presentato alle udienze, né aveva contestato la consulenza tecnica d’ufficio.
Saranno 5,35 milioni i lavoratori che, finita l’emergenza Covid–19, lavoreranno in smart working, anche in maniera parziale: 1,72 milioni nelle grandi imprese, 920 mila nelle pmi, 1,23 milioni nelle microimprese, 1,48 milioni nelle pa. Sono le stime contenute nel report che riassume i risultati della ricerca dell’Osservatorio Smart Working della School of Management del Politecnico di Milano dai quali si evince anche che nella fase acuta dell’emergenza il lavoro agile ha coinvolto il 97% delle grandi imprese, il 94% delle pubbliche amministrazioni e il 58% delle pmi, per un totale di 6,58 milioni di lavoratori agili, circa un terzo dei lavoratori dipendenti italiani, oltre dieci volte di più dei 570 mila censiti nel 2019. Il maggior numero di smart worker lavora nelle grandi imprese, 2,11 milioni, 1,13 milioni nelle pmi, 1,5 milioni nelle microimprese sotto i dieci addetti e infine 1,85 milioni di lavoratori agili nelle p.a. Lo smart working è entrato, ormai, a pieno titolo nella quotidianità dell’universo lavorativo del Belpaese, contribuendo a superare pregiudizi, migliorare competenze digitali, ripensare i processi. Secondo il focus, il 73% degli smart worker rileva un effetto positivo del lavoro da remoto sulle performance dell’organizzazione, per il 76% è aumentata l’efficacia, per il 72% l’efficienza e per il 65% ha portato innovazione nel lavoro. Per adattarsi a questa «nuova normalità» del lavoro, il 70% delle grandi imprese aumenterà le giornate di lavoro da remoto, portandole in media da uno a 2,7 giorni alla settimana, una su due modificherà gli spazi fisici. Nelle pa saranno introdotti progetti di smart working (48%), aumenteranno le persone coinvolte nei progetti (72%) e si lavorerà da remoto in media 1,4 giorni alla settimana (47%), rispetto alla giornata media attuale.

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  • Le barricate per difendere l’Italia dal rischio francese
Un emendamento per proteggere Mediaset dalle mire di Bolloré e un rapporto del Copasir che suona l’allarme sulla possibile scalata alle Generali da parte di Axa. La preoccupazione che il risparmio italiano finisca per finanziare lo sviluppo dei concorrenti esteri e che si crei una eccessiva concentrazione di titoli del debito pubblico italiano in mani estere
  • Quei manager d’Oltralpe nella stanza dei bottoni 
Generali e Unicredit, Axa Italia ed Edison. In molte delle nostre imprese i vertici parlano francese. E in molti casi le hanno valorizzate senza badare al passaporto. Philippe Donnet è forse il più italiano dei manager francesi in Italia, ceo di Generali dal 2016 dopo un lungo percorso in Axa. Patrick Cohen ceo del gruppo Axa Italia dopo lunga esperienza in McKinsey
  • I consulenti finanziari non soffrono la pandemia
Le reti fanno meglio delle banche e spingono i clienti ad investire in azioni e a non tenere troppa liquidità. Fideuram sempre in testa, scatto di Mediolanum e Finesco. Credem sale
  • Mattone green, il modello Generali
La sezione Real Estate del colosso assicurativo ha fatto della sostenibilità uno dei suoi obiettivi chiave e nasce anche la collaborazione con una start up

  • Cedole. Il lockdown ci fa prede (o marginali) banchieri sul piede di guerra
All’inizio di dicembre la Bce dovrà esprimersi sulle nuove proiezioni macro e in quell’occasione dovrebbe anche fornire un aggiornamento sullo stato di salute del sistema bancario.Per le banche sarà un momento cruciale. La Bce sarà costretta a prendere decisioni importanti, passando idealmente attraverso una specie di stretto di Scilla e Cariddi. Da una parte il doveroso rigore visto la crisi legata al Covid 19, dall’altra la necessità di allentare la pressione sugli istituti da anni impegnati nel ristrutturare in modo efficace i loro conti. Ma se per le banche la situazione rischia di diventare grave, per le compagnie di assicurazione non poter distribuire dividendi è quasi un controsenso. Le assicurazioni hanno decisamente un fattore di rischio crediti alle imprese molto inferiore: banalmente non prestano soldi. Non si capisce quindi perché il regolatore europeo (Eiopa) abbia raccomandato di non distribuire dividendi. E quello domestico imposto questo blocco «almeno fino al primo gennaio 2021». Non è un caso che in Borsa le nostre compagnie assicurative (in primis, la più importante e cioè le Generali) sono ferme, mentre le loro concorrenti corrono. La tedesca Allianz ha distribuito quasi dieci euro per azione, praticamente altrettanto Munich Re e lo stesso ha fatto Zurich o l’inglese Aviva.
  • Le polizze di Accenture
Chi non innova è perduto. Ma in quale direzione? La XX° edizione dell’Insurance Day di Accenture cercherà di indicarla alle compagnie, mettendo domani attorno al tavolo i top manager dei big. Daniele Presutti, senior managing director di Accenture introdurrà il confronto tra Matteo Laterza (UnipolSai), Alessandro Castellano (Zurich), Giacomo Campora (Allianz) Alberto Vacca (Aviva) Isabella Fumagalli (Cardif), Riccardo Cesari dell’Ivass, Andrea Novelli (Poste Vita) Carlo Ferraresi (Cattolica), Nicola Maria Fioravanti (Intesa Sanpaolo Vita), Luca Filippone (Reale Mutua) Pierre Cordier (Groupama), Francesco Bardelli (Generali), Edoardo Fontana Rava (Mediolanum) e Patrick Cohen (Axa).
  • Scatola nera, fumata grigia
I gestori si dicono soddisfatti della telematica a bordo, ma con la pandemia hanno rallentato le installazioni di black box, che  è riconosciuta utile per la sicurezza e il taglio dei costi  ma spesso ancora sottoutilizzata nelle sue potenzialità
  • Carta d’identità con incidenti e chilometri
L’auto con carta d’identità. È la nuova soluzione hi-tech sull’usato da noleggio studiata per soddisfare le esigenze dei fleet manager da LoJack, società del gruppo CalAmp specializzata in soluzioni telematiche per l’automotive e nel recupero dei veicoli rubati. Il sistema semplifica la gestione e l’utilizzo del parco auto aziendale attraverso l’analisi in tempo reale di tutti i principali indicatori del veicolo. La soluzione installata a bordo della vettura consente di tenerne sotto controllo i parametri principali e, al momento della vendita, di certificarne lo stato di salute, come una carta d’identità dell’auto, appunto. Con questa soluzione i noleggiatori, ma anche i manager delle flotte aziendali che usano la formula dell’acquisto, potranno fornire all’acquirente della vettura usata la certificazione dei chilometri percorsi (con la quantità negli anni) e degli incidenti subiti (evidenziando i sinistri), oltre a un punteggio sullo stato generale della vettura. Il sistema consente inoltre al fleet manager di attivare un meccanismo premiante nei confronti dei guidatori più virtuosi che riconsegnano la vettura in ottimo stato.
  • La polizza? La compro con il “gruppo di acquisto”
Oltre 7mila aderenti  fra enti e associazioni in 6 mesi e un accordo per offire il prodotto agli oltre 300mila soci di Altroconsumo. Sono i risultati commerciali della polizza Zurich4Care, polizza collettiva long term care lanciata da Zurich Italia

  • Il Tfm all’amministratore è interamente deducibile

Handelsblatt

 

  • Munich Re e Porsche ottimizzano la produzione di piccole serie
Si tratta di una partnership insolita che il riassicuratore Munich Re, la casa automobilistica Porsche e la sua filiale di consulenza MHP stanno stringendo. Con il nome di Flex Factory, le tre società hanno costituito una joint venture che permetterà alle aziende dell’industria manifatturiera di rendere le piccole serie più flessibili ed economiche in futuro. Questo è stato riportato nell’Handelsblatt dagli ambienti aziendali. La joint venture è posseduta per metà da Munich Re, con Porsche e MHP che detengono ciascuna un quarto del capitale. L’azienda di recente fondazione non dispone di impianti di produzione propri. I tre partner stanno invece contribuendo con i loro punti di forza all’attuazione. Porsche apporterà il suo know-how di produzione, MHP la sua esperienza nell’ottimizzazione dei processi digitali e Munich Re i suoi modelli di finanziamento e di assicurazione, nonché una garanzia di performance per la produzione pianificata. Inoltre, la filiale di Munich Re, Relayr, una società dell’internet degli oggetti, supporta Relayr con la sua esperienza nel campo dell’analisi digitale dei rischi.